Roma – Le attività umane hanno un effetto negativo sulla biodiversità selvatica anche a centinaia di chilometri di distanza. È quanto emerge da un nuovo studio guidato dall’Università di Tartu, Estonia, e pubblicato su Nature. Gli autori hanno valutato la salute degli ecosistemi in tutto il mondo, considerando sia il numero di specie vegetali trovate sia la diversità oscura, ovvero le specie ecologicamente idonee mancanti. Per lo studio, oltre 200 ricercatori hanno studiato le piante in circa 5.500 siti in 119 regioni in tutto il mondo, inclusi tutti i continenti.

Diversità vegetale nella vegetazione naturale in relazione agli effetti umani nelle regioni circostanti. Credito: DarkDivNet
La ricerca ha rivelato che nelle regioni con scarso impatto umano, come nelle vaste masse forestali del Nord America o nella tundra della Groenlandia, gli ecosistemi contengono in genere oltre un terzo delle specie potenzialmente idonee, mentre altre specie rimangono assenti principalmente per ragioni naturali, come habitat troppo distanti tra loro o mancanza di dispersori di semi. Al contrario, nelle foreste dell’Europa occidentale e meridionale e in altre regioni fortemente colpite dalle attività umane, i siti studiati contenevano solo una specie idonea su cinque. Il livello di disturbo umano in ogni regione è stato misurato utilizzando l’indice di impronta umana. L’indice include fattori come la densità della popolazione umana, i cambiamenti nell’uso del suolo (ad esempio sviluppo urbano e conversione di terreni naturali in terreni arabili) e infrastrutture (strade e ferrovie). Lo studio ha scoperto che la diversità vegetale in un sito è influenzata negativamente dall’impatto umano fino a centinaia di chilometri di distanza. Secondo l’autore principale dello studio, il professore di botanica dell’Università di Tartu Meelis Pärtel, i risultati indicano che la biodiversità può essere ridotta anche negli ecosistemi che non sono stati modificati direttamente dall’uomo, ma si trovano in aree in cui le attività umane hanno causato la frammentazione dell’habitat o hanno avuto un impatto disperso sulle aree naturali, ad esempio attraverso l’inquinamento. “Questo risultato – ha spiegato Pärtel – è allarmante perché dimostra che i disturbi umani hanno un impatto molto più ampio di quanto si pensasse in precedenza, raggiungendo persino le riserve naturali. Inquinamento, disboscamento, abbandono di rifiuti, calpestio e incendi causati dall’uomo possono innescare vere e proprie estinzioni e impedire la ricolonizzazione”. (30Science.com)