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Un test per prevedere il rischio di parto pretermine

(15 Aprile 2025)

Roma – Si chiama PTerm, è un metodo innovativo e non invasivo per prevedere il rischio di parto pretermine, ovvero prima della 37ª settimana di gestazione, con un tasso di precisione fino all’87 per cento. Descritto sulla rivista Plos Medicine, questo sistema è stato sviluppato dagli scienziati della Southern Medical University di Guangzhou e del King’s College di Londra. Il team, guidato da Zhiwei Guo, Yingsong Wu, Fang Yang e Jia Tang, ha ideato un approccio basato sull’analisi del DNA libero circolante (cfDNA) presente nel sangue materno, più precisamente sul profilo dei nucleosomi nelle regioni promotrici dei geni, ovvero le “centraline” che regolano l’attività genetica. Nell’ambito dell’indagine, i ricercatori hanno analizzato il DNA circolante di 2.590 donne incinte. Tra queste, 518 gravidanze si sono concluse prima della 37ª settimana di gestazione. Il DNA libero nel sangue materno deriva dalla placenta e da cellule ematiche, ed è una fonte preziosa di informazioni sullo stato della gravidanza. Con sofisticate tecniche di sequenziamento del genoma e analisi computazionali, hanno identificato differenze nei “profili dei promotori” tra le donne che hanno avuto un parto anzitempo e quelle che hanno portato la gravidanza a termine. I ricercatori hanno selezionato 83 geni chiave e costruito un algoritmo predittivo, che poi è stato testato in tre gruppi indipendenti. Il metodo ha avuto un’accuratezza dell’87 per cento nel prevedere il rischio di parto pretermine. “Questo test – sostengono gli autori – rappresenta un passo avanti cruciale verso test prenatali non invasivi in grado di prevedere possibili complicazioni. La forza del nostro modello è che può essere integrato nei test prenatali esistenti senza modificare nulla, offrendo uno strumento potente e pratico per la clinica”. Nei prossimi step, precisano gli autori, sarà necessario validare il modello su popolazioni più eterogenee e integrare il metodo con ulteriori dati molecolari, come la metilazione del DNA. L’obiettivo finale, concludono gli scienziati, sarà sviluppare strumenti di diagnosi precoce e intervento personalizzato, per migliorare gli esiti per madri e neonati. (30Science.com)

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