Roma – Le stime della produzione delle colture a livello globale sono gravemente errate, e questo può portare a catastrofiche conseguenze per la catena alimentare mondiale. E’ quanto emerge da un nuovo studio guidato dall’Università del Nebraska-Lincoln e pubblicato su Nature Food. “Siamo impegnati in una corsa per sfamare il mondo e cercare di sfamare la popolazione con i terreni agricoli disponibili”, ha affermato Patricio Grassini, uno degli autori dello studio “Per raggiungere questo obiettivo, sono necessarie stime che prevedano sia il potenziale di resa, determinato dalle condizioni meteorologiche e dalle proprietà del suolo, sia i divari di resa, ovvero la differenza tra il potenziale di resa e le rese agricole attuali, che indica il margine di crescita della produzione alimentare sui terreni coltivati esistenti”. La questione è come compilare al meglio queste stime. Gli autori della nuova ricerca mettono in discussione i metodi statistici oggi ampiamente utilizzati. Negli Stati Uniti, ad esempio, gli attuali modelli statistici tendono ad affidarsi eccessivamente agli scenari ottimali. I metodi estrapolano inoltre un singolo potenziale di resa su ampie regioni con un’ampia diversità di climi e terreni, che probabilmente produrrebbero un intervallo altrettanto ampio di potenziale di resa. “Pertanto- ha spiegato Grassini – si sovrastima il potenziale produttivo, perché la contea migliore con i terreni migliori nell’anno migliore non rappresenta realmente il clima medio o il terreno più tipico dell’intero Stato”. Ma in altre parti del mondo – ad esempio in Africa – questi modelli potrebbero invece sottostimare la resa delle colture. Grassini ha affermato che questo approccio – promosso principalmente da geografi e statistici, non da agronomi – è stato ampiamente accettato e che sono necessarie analisi più rigorose. Lo studio ha confrontato le stime del potenziale di resa e dei divari di resa delle principali colture degli Stati Uniti (mais, soia e grano) ricavate da quattro modelli statistici comunemente utilizzati con quelle ricavate da un approccio di scala spaziale “dal basso verso l’alto” basato su una solida modellazione delle colture e su dati meteorologici e del suolo locali, come il Global Yield Gap and Water Productivity Atlas sviluppato nel Nebraska. I modelli colturali basati sui processi utilizzati in questo studio sono stati rigorosamente validati per la loro capacità di stimare il potenziale di resa sulla base di dati sperimentali ottenuti da colture ben gestite e coltivate in un’ampia gamma di ambienti. Il team ha scoperto che questo approccio dal basso verso l’alto, che integra meglio i dati a lungo termine e le variazioni regionali, è chiaramente superiore. “Mi aspetto qualche controversia”, ha detto Grassini in merito alle conclusioni del team che sfidano l’opinione comune. L’approccio raccomandato dal team dovrebbe cogliere meglio i divari di rendimento, il che “può aiutare a identificare le regioni con il margine maggiore per aumentare la produzione agricola, il che, a sua volta, fornisce una base per orientare i programmi di ricerca e sviluppo agricolo”. “Questo è un appello – ha concluso Grassini – a fare chiarezza perché se vogliamo usare queste informazioni per orientare le politiche e i nostri investimenti, dobbiamo assicurarci che siano valide e convalidate”. (30Science.com)