Roma – Un modello informatico può aiutare a identificare le cellule immunitarie che nel tumore al polmone rispondono meglio all’immunoterapia, cioè a trattamenti con inibitori dei checkpoint immunitari. È quanto sostengono un gruppo di ricercatori informatici del Johns Hopkins Kimmel Cancer Center e del Bloomberg~Kimmel Institute for Cancer Immunotherapy, Stati Uniti, ideatori dell’innovativo modello informatico “MANAscore”, descritto in un lavoro oggi su Nature Communications. Si tratta di un modello a soli tre geni in grado di identificare fra le tantissime cellule immunitarie che sono bersaglio di trattamenti immunoterapici, quelle che daranno una risposta, più o meno efficace, alla terapia. Quindi, potenzialmente, una preziosa e arma per l’oncologo nella decisione terapeutica. “Il nostro obiettivo è riuscire a selezionare le cellule immunitarie più responsive” spiega Kellie Smith, professore associato di oncologia presso la Johns Hopkins e prima autrice dello studio “per approfondirne i meccanismi e soprattutto per identificare specifici e migliori biomarcatori e bersagli per l’immunoterapia combinata”. Tra gli inibitori del checkpoint immunitari, che sono anticorpi monoclonali immunomodulatori, ci sono anche gli inibitori PD-1, oggi impiegati nel trattamento di decine di tipi di cancro, compreso il tumore del polmone. Queste terapie rivoluzionarie agiscono liberando cellule immunitarie, i linfociti T, che uccidono i tumori ma che vengono disattivate dalla proteina PD-1. Gli inibitori PD-1, noti anche come anti-PD-1, svolgono quindi l’azione inversa: riattivano le cellule T del paziente, consentendo così al sistema immunitario di combattere la malattia in modo più efficace. Tuttavia non tutti i pazienti rispondono a queste terapie, o in maniera uguale; capirne le ragioni aiuterà a sviluppare terapie per i non-responder, cioè coloro che non traggono beneficio dal trattamento. Le cellule T tumorali attive sono fondamentali per determinare la risposta del paziente alla terapia, ma sono difficili da reperire fra tutte quelle presenti nella popolazione cellulare, pertanto per facilitarne l’individuazione ricercatori nel 2018 hanno sviluppato la tecnologia MANAFEST (Mutation-Associated NeoAntigen Functional Expansion of Specific T Cells), descritta sulla rivista Cancer Immunology Research, basata su un approccio che combina la tecnologia stessa al sequenziamento di singole cellule per identificare le rare cellule immunitarie in sei pazienti con cancro ai polmoni. Questo primo studio aveva dimostrato che le cellule immunitarie attivate dall’immunoterapia condividono un profilo di espressione genica comune e queste informazioni sono state poi applicate a MANAscore, la cui novità sta nell’utilizzo di soli tre geni rispetto ad altri modelli più tradizionali che ne impiegano oltre 200, rendendo questa tecnologia di più facile ed agile approccio. MANAscore ha permesso ai ricercatori di identificare differenze cruciali nelle cellule T attivate nei tumori di pazienti che rispondono alla terapia del checkpoint immunitario rispetto ai non-responder, ad esempio una percentuale maggiore di linfociti T della memoria, cellule simili alle staminali, che agiscono come una riserva per nuove cellule e che possono svilupparsi in cellule antitumorali molto più efficaci. “Queste informazioni possono aiutare a spiegare perché alcuni pazienti sono più in grado di rispondere alle terapie rispetto ad altri” ha aggiunto Zhen Zeng, ricercatore associato di bioinformatica presso il Kimmel Cancer Center “Avere caratteristiche simili alle staminali aiuta i linfociti T a moltiplicarsi con più facilità in una miriade di cellule in grado di contrastare i tumori. Inoltre le rendono capaci di auto-rinnovarsi e di persistere più a lungo. Queste caratteristiche si traducono in migliori risposte immunitarie e nella capacità di espandersi in una popolazione robusta di cellule T effettrici, quando necessario”. I ricercatori stanno anche lavorando allo sviluppo di un test che utilizza pannelli di immunofluorescenza multispettrale per identificare la firma a tre geni delle linfociti T che rispondono alla terapia immunitaria, con l’auspicio di arrivare a identificare un biomarcatore, utile nella cura del cancro. Questo modello è attualmente impiegato dai ricercatori per i capire se le affinità delle cellule T con la firma a tre geni sia rilevabile anche in altri tipi di cellule immunitarie, come le cellule T regolatrici ad esempio, ed aiutare a controllare la risposta immunitaria. Sono inoltre in corso studi con altri laboratori in tutto il paese per determinare se MANAscore possa essere usato in altri tumori sfruttando un database di dati di sequenziamento di singole cellule di differenti tipologie di cancro e fra questi identificare le caratteristiche delle cellule T attive.(30Science.com)
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Tumori: Modelli informatici scovano le cellule immunitarie attive contro il cancro al polmone
(3 Febbraio 2025)

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