Francesca Morelli

Tumori: test genetici possono influenzare le decisioni terapeutiche nel tumore della prostata

(22 Gennaio 2025)

Roma – Test di classificazione genomica (GC) possono influenzare le classificazioni del rischio o le decisioni terapeutiche in pazienti con cancro alla prostata localizzato (PCa), secondo una revisione sistematica su studi di letteratura condotta da ricercatori dell’American College of Physicians, pubblicata su Annals of Internal Medicine. Il tumore alla prostata è il più diffuso tra gli uomini con forme da appena percettibili a altamente aggressive che richiedono terapie importanti. Pertanto selezionare il paziente meritevole di trattamento e di quale tipologia, resta una sfida della ricerca. Ad oggi questa scelta si basa nella gran parte di casi sulle linee guida NCCN (National Comprehensive Cancer Network), che valutano lo stadio del tumore, i livelli di PSA e i gradi di Gleason, una scala di valutazione che si basa su un punteggio da 2 a 10 (da 2 a 6: tumore generalmente a crescita lenta e con scarsa tendenza a diffondersi a distanza; 7: tumore di grado intermedio; da 8 a 10: tumore molto aggressivo). Quindi più basso è il punteggio, più basso è il grado del tumore. Valutazioni che, tuttavia, possono portare a un sotto o sovra trattamento. Invece i test genetici, offrono informazioni sicure e affidabile sull’aggressività del tumore, potendo rilevare potenzialmente elementi e fattori non catturati dagli strumenti clinici più tradizionali. Ad oggi i test genetici non sono pienamente utilizzati nella pratica clinica causa di risultai e/o linee guida contrastanti. Ricercatori del Department of Veterans Affairs hanno pertanto analizzato 19 studi per valutare l’impatto dei test genomici basati sui tessuti sulla stratificazione del rischio e sulle decisioni di trattamento in pazienti con PCa. Particolare attenzione è stata dedicata all’analisi del tipo di test (alla marca utilizzata) e della qualità, alle caratteristiche della popolazione, alla riclassificazione del rischio e all’intensità del trattamento raccomandato e/o ricevuto. Da studi osservazionali a basso rischio di bias, ovvero la possibilità che uno studio possa riportare errori sistematici legati alla metodologia con è stato condotto lo studio stesso, è emerso che la maggior parte dei pazienti con un rischio basale basso o molto basso non sono ricevuto una ri-classificazione del rischio dopo il test GC, sebbene il dato differiva dal tipo di test utilizzato, con variazioni possibili del livello di rischio dallo 0% – 11,9% al 12,8% – 17,1%. In studi randomizzati, invece, la riclassificazione a un rischio più elevato era superiore rispetto agli studi osservazionali esaminati. In conclusione, gli studi osservazionali hanno indicato che test GC spesso suggeriscono opzioni di gestione conservative come la sorveglianza attiva, tuttavia le differenze nei risultati fra studi osservazionali e randomizzati suggeriscono la necessità di nuovi studi ben progettati per valutare l’impatto dei test GC nella gestione del PCa, quindi del processo decisionale paziente-clinico. Dovranno inoltre essere condotti studi anche per stimare l’efficacia dell’approccio genetico anche nel lungo termine.(30Science.com)

Francesca Morelli