Roma – Il carcinoma renale a cellule chiare (ccRCC), il tumore renale più comune diagnosticato negli adulti, è associato a due diversi modelli di strutture cellulari, chiamate speckle nucleari, che possono influenzare l’efficacia dei trattamenti. A descriverle uno studio, pubblicato sulla rivista Nature Cell Biology, condotto dagli scienziati del Cold Spring Harbor Laboratory (CSHL) e dell’Università della Pennsylvania. Il team, guidato da Katherine Alexander e Shelley Berger ha esaminato la variabilità nelle risposte del cancro alle terapie e ai trattamenti disponibili. I pazienti oncologici, spiegano gli esperti, reagiscono in modo diverso alle cure, e le equipe mediche si interrogano da tempo sulle motivazioni alla base di queste variazioni. I ricercatori hanno esaminato oltre 20 tipologie di tumori.
Nell’ambito dell’indagine, il ccRCC è stato l’unico a mostrare un legame tra queste macchie e gli esiti dei pazienti. Gli autori hanno scoperto due diversi modelli di strutture cellulari, note come speckle nucleari dei tumori renali, che potrebbero essere associati agli esiti e alla prognosi dei pazienti. “La forma di queste strutture – spiega Alexander – sembra direttamente associata alla possibilità di successo delle terapie. Potenzialmente, i nostri risultati suggeriscono che se un paziente si presenta con uno stato delle speckle alterato, potrebbe essere più reattivo a un farmaco piuttosto che a un altro. Saranno ovviamente necessari ulteriori approfondimenti per stabilire gli approcci più efficaci per ogni casistica”. Scoperte oltre 100 anni fa, le speckle nucleari sono piccole strutture cellulari che risiedono nel nucleo. Gli scienziati suggeriscono che si mescolano al DNA e aiutano a regolare l’attività genica. In particolare, gli studiosi hanno scoperto che le speckle nucleari sono caratterizzate da due firme differenti, normali o aberranti. Le prime tendono a radunarsi al centro del nucleo, mentre le altre si dispongono in modo più dispersivo. “Il modo in cui queste firme influenzino i risultati dei pazienti resta per ora un mistero – conclude Berger – tuttavia, i nostri risultati potrebbero rappresentare la base di partenza verso lo sviluppo di trattamenti personalizzati. La possibilità di riconoscere le strutture del tumore e capire quali trattamenti adottare avrebbe un effetto notevole sulla prognosi e l’efficacia delle terapie. In ultima analisi, il nostro lavoro potrebbe aumentare significativamente le probabilità di sopravvivenza dei pazienti oncologici”. (30Science.com)