Roma – Due anni dopo aver fissato obiettivi ambiziosi per la salvaguardia dell’habitat e delle specie entro il 2030, i delegati al summit delle Nazioni Unite sulla biodiversità conclusosi a Cali, in Colombia, non sono riusciti a trovare un accordo su come aumentare i finanziamenti per i paesi ricchi di diversità animali e vegetali. Questo secondo quanto riportato dalla prestigiosa rivista Science. “Il senso di urgenza si è manifestato più nei discorsi che nelle azioni”, ha affermato in una dichiarazione Susan Lieberman, vicepresidente della politica internazionale presso la Wildlife Conservation Society. Per converso, con una mossa ampiamente sostenutadalla comunità ambientalista, alle popolazioni indigene e alle comunità locali è stato assegnato un ruolo formale nell’aiutare a stabilire l’agenda del gruppo delle Nazioni Unite, denominato Convention on Biological Diversity (CBD). All’ultima convention del 2022, i delegati di 190 nazioni si erano impegnati a spendere 200 miliardi di dollari all’anno per la conservazione . Parte delle discussioni di quest’anno si è concentrata sull’ideazione di una strategia complessiva per raccogliere e distribuire questo denaro. Ma i delegati non sono riusciti a concordare un piano. Una questione era se creare una nuova organizzazione per gestire i finanziamenti o lasciarli al Global Environment Facility, una struttura multilaterale creata nel 1991. I negoziatori hanno approvato un piccolo pezzo di questo puzzle: un piano per raccogliere fondi per la conservazione da aziende che creano prodotti utilizzando informazioni genetiche prese dalla natura, note come informazioni di sequenza digitale (DSI). Molte nazioni ricche di biodiversità nei tropici e altrove si sono a lungo opposte alle aziende che creano nuovi farmaci o varietà di colture basate su campioni raccolti nei loro paesi senza condividere i profitti. Queste preoccupazioni sono state intensificate dall’avvento della biologia molecolare e della genomica, che rendono possibile sviluppare prodotti biotecnologici basati solo su dati genetici. Il nuovo piano affronta questo problema stabilendo un quadro in cui le aziende che utilizzano DSI per sviluppare prodotti, come quelle nei settori farmaceutico, alimentare, cosmetico e biotecnologico, dovrebbero donare lo 0,1 per cento dei loro ricavi o l’1 per cento dei profitti, se i loro ricavi o asset superano determinate soglie. Se tutte le aziende rispettassero queste regole, questo fondo DSI potrebbe raccogliere più di 1 miliardo di dollari all’anno, secondo una stima della London School of Economics. Ma non è chiaro quanto genererà perché l’accordo finale chiede alle industrie solo contributi volontari, invece di renderli obbligatori come volevano alcune nazioni. Amber Hartman Scholz, responsabile del gruppo di politica scientifica presso la German Collection of Microorganisms and Cell Cultures GmbH del Leibniz Institute, afferma che l’accordo finale DSI è positivo per la scienza. “Ha tutto ciò per cui stavamo lottando”, afferma la microbiologa, che ha co-fondato la DSI Scientific Network, che si occupa di sostenere gli scienziati presso il CBD. Uno degli obiettivi del gruppo era assicurarsi che un sistema di condivisione dei benefici non creasse burocrazia o nuovi costi per la ricerca. Le istituzioni pubbliche come università e istituti di ricerca non-profit non saranno tenute a contribuire con denaro quando sviluppano metodi o prodotti basati su DSI. Ma l’accordo finale afferma che tali istituzioni dovrebbero condividere “benefici non monetari”. I dettagli saranno elaborati nei prossimi 2 anni. (30Science.com)
Gianmarco Pondrano d'Altavilla
Il Summit Nazioni Unite non finanzia la difesa della biodiversità
(7 Novembre 2024)
Gianmarco Pondrano d'Altavilla