Lucrezia Parpaglioni

Le rigogliose barriere di ostriche lungo le coste europee sono scomparse

(4 Ottobre 2024)

Roma – Un tempo le ostriche formavano estese barriere coralline lungo gran parte delle coste europee, ma questi complessi ecosistemi sono stati distrutti oltre un secolo. Lo rivela una ricerca condotta dall’Università di Exeter e dall’Università di Edimburgo, pubblicata sulla rivista Nature Sustainability. Basandosi su documenti del diciottesimo e diciannovesimo secolo, lo studio rivela che le ostriche piatte europee formavano grandi scogliere di conchiglie vive e morte, fornendo un habitat che supportava una ricca biodiversità. Oggi queste ostriche si trovano per lo più come individui sparsi, ma i ricercatori hanno trovato prove di scogliere quasi ovunque, dalla Norvegia al Mediterraneo, che coprono almeno 1,7 milioni di ettari, un’area più grande dell’Irlanda del Nord. Le scogliere di ostriche autoctone hanno creato ecosistemi propri, ricchi di una gamma diversificata di vita sottomarina, supportando un numero maggiore di specie rispetto alle aree circostanti. Oltre a ospitare le quasi 200 specie di pesci e crostacei censite, le ostriche hanno svolto un ruolo fondamentale nella stabilizzazione delle coste, nel ciclo dei nutrienti e nel filtraggio dell’acqua: una singola ostrica adulta filtra fino a 200 litri d’acqua al giorno. Progetti di ripristino sono in corso in tutta Europa e il ripristino di habitat su piccola scala, come il Wild Oyster Project, condotto da ZSL e dai suoi partner, è un passo fondamentale per il ritorno di questi ecosistemi vitali su scala internazionale. Tuttavia, gli sforzi di ripristino devono essere incrementati con il sostegno dei governi e di altri decisori in tutto il continente. “Le attività umane hanno influenzato l’oceano per secoli”, ha dichiarato Ruth Thurstan, dell’Università di Exeter e parte del Convex Seascape Survey, un ambizioso progetto quinquennale che esamina lo stoccaggio del carbonio negli oceani. “Questo – ha continuato Thurstan – rende difficile scoprire come erano i nostri ecosistemi marini, ostacolandone la conservazione e il recupero”. “Oggi poche persone nel Regno Unito hanno visto un’ostrica piatta, che è la nostra specie nativa”, ha proseguito Thurstan. “Le ostriche esistono ancora in queste acque, ma sono sparse e le scogliere che costruivano sono scomparse”, ha sottolineato Thurstan. “Tendiamo a pensare ai nostri fondali marini come a una distesa piatta e fangosa, ma in passato molte località erano un paesaggio tridimensionale di complesse scogliere viventi, oggi completamente scomparse dalla nostra memoria collettiva”, ha aggiunto Thurstan. A causa della loro importanza economica e culturale, le ostriche compaiono in documenti storici come giornali, libri, scritti di viaggio, registri di sbarco, carte nautiche, prime indagini scientifiche e interviste con i pescatori. “Combinando i resoconti descrittivi di una serie di fonti storiche, possiamo costruire un quadro dei nostri mari del passato”, ha detto Thurstan, che sta mappando i cambiamenti oceanici del passato nell’ambito del Convex Seascape Survey. “La più grande concentrazione di scogliere di ostriche che abbiamo trovato è stata nel Mare del Nord”, ha osservato Thurstan. Le registrazioni mostrano l’esistenza di scogliere estese lungo le coste delle moderne Francia, Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Repubblica d’Irlanda e Regno Unito. “Le scogliere di ostriche si sviluppano lentamente, con strati di nuove ostriche che si formano sui gusci morti dei loro predecessori, ma la loro distruzione a causa della pesca eccessiva è stata relativamente rapida”, ha spiegato Philine zu Ermgassen, ricercatrice onoraria presso l’Università di Edimburgo. “Questo ha causato una ristrutturazione fondamentale e un “appiattimento” dei nostri fondali marini, eliminando gli ecosistemi fiorenti e lasciando dietro di sé una distesa di sedimenti molli”, ha notato zu Ermgassen. “Grazie a questa ricerca di ecologia storica, siamo ora in grado di descrivere quantitativamente l’aspetto delle scogliere di ostriche prima del loro impatto e l’estensione spaziale degli ecosistemi che formavano”, ha sottolineato zu Ermgassen. “Si trattava di aree enormi, fittamente ricoperte di ostriche e brulicanti di altra vita marina”, ha concluso zu Ermgassen. (30Science.com)

Lucrezia Parpaglioni
Sono nata nel 1992. Sono laureata in Media Comunicazione digitale e Giornalismo presso l'Università Sapienza di Roma. Durante il mio percorso di studi ho svolto un'attività di tirocinio presso l'ufficio stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Qui ho potuto confrontarmi con il mondo della scienza fatto di prove, scoperte e ricercatori. E devo ammettere che la cosa mi è piaciuta. D'altronde era prevedibile che chi ha da sempre come idolo Margherita Hack e Sheldon Cooper come spirito guida si appassionasse a questa realtà. Da qui la mia voglia di scrivere di scienza, di fare divulgazione e perché no? Dimostrare che la scienza può essere anche divertente.