Lucrezia Parpaglioni

I funghi coltivati dalle formiche si sono adattati come il mais

(9 Ottobre 2024)

Roma –  Le formiche attine, note sotto il nome scientifico di ‘Atta Fabriucius’ e conosciute come ‘formiche tagliafoglie’, hanno selezionato funghi che si sono adattati alla domesticazione in modo analogo in cui l’uomo ha fatto col mais. È quanto emerge da uno studio dell’Università di Copenhagen, riportato su Molecular Biology and Evolution. I nostri antenati umani hanno iniziato ad addomesticare le colture alimentari circa 10.000 anni fa, ma una stirpe di formiche, chiamate “attine”, è diventata abile coltivatrice di funghi 60 milioni di anni prima. Le formiche attine e le loro colture fungine dipendono l’una dall’altra per la sopravvivenza. Le formiche piantano, proteggono, accudiscono e coltivano il loro fungo, che garantisce loro un’alimentazione stabile. Le formiche tagliafoglie hanno i sistemi di coltivazione più avanzati e si sono dimostrate resistenti in oltre 15 milioni di anni di cambiamenti climatici e ora sono gli erbivori dominanti, e spesso i parassiti delle colture, in diversi habitat dall’Argentina al Texas settentrionale. Da quando, 150 anni fa, sono stati scoperti i sistemi di allevamento delle formiche tagliafoglie, gli scienziati hanno lavorato per capire come le formiche si siano evolute in sistemi di allevamento così sofisticati senza i vantaggi della tecnologia o della cultura che hanno alimentato l’ascesa dei sistemi di allevamento umani. Inoltre, la coltura fungina delle formiche tagliafoglie viene trasmessa di generazione in generazione, come le colture umane, e presenta segni di addomesticamento analoghi a quelli che distinguono le moderne pannocchie di mais da supermercato dai piccoli semi non commestibili prodotti dal suo antenato selvatico. Per esempio, il fungo della formica tagliafoglie produce strutture di ricompensa nutrizionale rigonfie che sono altrimenti uniche nel regno fungino. Finora, gli adattamenti genomici chiave che alimentano questi processi di domesticazione sono rimasti poco conosciuti. La ricerca, finanziata da una sovvenzione ERC Starting Grant e da una sovvenzione Villum Experiment Grant, ha sfruttato approcci di sequenziamento del genoma all’avanguardia per decodificare gli elementi genetici che compongono il Leucoagaricus gongylophorus, il fungo coltivato dalle formiche tagliafoglie. Decifrando questi geni e confrontandoli con quelli contenuti in altri funghi, i ricercatori sono riusciti a determinare quali parti del genoma fungino sono cambiate in seguito a milioni di anni di coltivazione da parte delle formiche. “Abbiamo trovato importanti indizi genetici che mostrano come il fungo si sia adattato alla vita con le formiche”, ha detto Caio Leal-Dutra, autore principale dello studio. “Alcuni di questi cambiamenti genetici aiutano il fungo a scomporre il materiale vegetale e ad accumulare nutrienti, rendendolo un partner perfetto per le formiche”, ha continuato Leal-Dutra. La ricerca ha individuato nuovi gruppi di geni che aiutano il fungo a difendersi dalle malattie e a ottimizzare la sua collaborazione con le formiche, garantendo la stabilità e la produttività del loro sistema di allevamento in habitat diversi. La squadra di ricerca ha anche scoperto molti elementi genetici mobili, o “geni saltatori”, nel DNA del fungo. Questi elementi possono cambiare rapidamente la composizione genetica del fungo, permettendogli di adattarsi alle sfide e di evolversi rapidamente in risposta ai cambiamenti ambientali. I risultati suggeriscono che la selezione naturale ha plasmato il fungo per prosperare nel suo stato coltivato, mantenendo un delicato equilibrio con i suoi formicai nel corso dei millenni. La ricerca non solo evidenzia il notevole successo evolutivo delle formiche coltivatrici di funghi, ma ha anche implicazioni più ampie per la comprensione di come la selezione naturale possa guidare l’addomesticamento delle colture. Esaminando gli adattamenti genomici di questi funghi, gli scienziati possono imparare come i sistemi agricoli possano evolversi attraverso interazioni ecologiche piuttosto che con l’intervento umano. “Comprendere la resilienza a lungo termine dei sistemi di allevamento delle formiche potrebbe ispirare nuovi modi di pensare all’agricoltura sostenibile”, ha affermato Jonathan Shik, del Dipartimento di Biologia dell’Università di Copenhagen, UCPH, dello Smithsonian Tropical Research Institute e autore senior del lavoro. “Anche se non possiamo ancora trasferire i metodi di allevamento delle formiche all’agricoltura umana, lo studio di questi sistemi può rivelare come il cambiamento genetico possa aiutare gli agricoltori a bilanciare la resa e la stabilità ambientale” ha aggiunto Shik. “Poiché l’uomo si trova ad affrontare sfide crescenti nell’agricoltura moderna, in particolare per quanto riguarda i cambiamenti climatici e la resilienza delle colture, le soluzioni evolutive rivelate in questo studio offrono interessanti spunti per la ricerca futura nelle scienze agrarie” ha concluso Shik. (30science.com)

Lucrezia Parpaglioni
Sono nata nel 1992. Sono laureata in Media Comunicazione digitale e Giornalismo presso l'Università Sapienza di Roma. Durante il mio percorso di studi ho svolto un'attività di tirocinio presso l'ufficio stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Qui ho potuto confrontarmi con il mondo della scienza fatto di prove, scoperte e ricercatori. E devo ammettere che la cosa mi è piaciuta. D'altronde era prevedibile che chi ha da sempre come idolo Margherita Hack e Sheldon Cooper come spirito guida si appassionasse a questa realtà. Da qui la mia voglia di scrivere di scienza, di fare divulgazione e perché no? Dimostrare che la scienza può essere anche divertente.