Roma – Una carta di identità che garantisca l’origine e la qualità di uno dei prodotti più consumati al mondo, il caffè. È quanto prevede la collaborazione tra ENEA, l’azienda Pnat (spin-off dell’Università di Firenze), l’Accademia del Caffè Espresso (La Marzocco) e gli enti garanti del caffè di otto Paesi del Centro e Sud America. L’obiettivo è di ottenere la tracciabilità del caffè di alta qualità (specialty coffee) e di contribuire al miglioramento delle condizioni di vita dei piccoli coltivatori da cui spesso dipendono queste produzioni di eccellenza.
“Si tratta di un’iniziativa unica nel suo genere perché mira ad approfondire la conoscenza del caffè e a indagare la possibilità di basi scientifiche che misurino la qualità e le caratteristiche di una tazza di caffè, coinvolgendo ben otto paesi produttori a livello mondiale”, commenta Gianfranco Diretto, responsabile del Laboratorio ENEA di Biotecnologie Green. “Vogliamo arrivare a una formazione dei baristi sul modello dei sommelier per offrire ai consumatori un ‘viaggio’ tra le diverse tipologie di caffè, anche prevedendo un pagamento differenziato sulla base di qualità, tracciabilità e sostenibilità” aggiunge.
“Attraverso l’impiego di tecniche di analisi biochimica all’avanguardia, abbiamo identificato le sostanze chimiche di 420 diversi campioni di caffè appartenenti a più di 30 varietà di Arabica, mentre un approccio bioinformatico ci ha permesso di evidenziare che i campioni differiscono notevolmente in base al Paese di coltivazione” spiega Alessia Fiore, responsabile del progetto per ENEA e coordinatrice del gruppo di lavoro composto dai colleghi Gianfranco Diretto e Sarah Frusciante.
“L’origine geografica del caffè, determina la sua composizione molecolare, in quanto le caratteristiche del suolo e del clima di ogni regione sono decisive e peculiari per i diversi caffè e direttamente responsabili delle valutazioni sensoriali della bevanda, come amarezza, acidità, corpo e dolcezza”, sottolinea la ricercatrice ENEA Sarah Frusciante.
“L’osservazione più sorprendente che abbiamo elaborato grazie all’analisi dei campioni di caffè è come la variabilità dei composti volatili che definiscono aromi e profumi del chicco verde sia definita più dalla terrorialità che non da fattori merceologicamente ritenuti più influenti, quali la varietà o le lavorazioni post raccolta”, evidenzia Camilla Pandolfi, research manager di Pnat.
“L’identità del caffè molto spesso si perde una volta che il prodotto viene trasportato dalle aree di origine fino a quelle del consumo”, evidenzia Massimo Battaglia, Coffee Research Leader di Accademia del Caffè Espresso. “Le distanze coperte sono molto grandi, immaginiamo il Centro America, l’Indonesia, l’India, l’Etiopia, per esempio, dove il caffè con grande cura e attenzione viene coltivato e processato e spedito nei Paesi dove diventa una bevanda, spesso con una storia poco conosciuta. Questo progetto permetterà di valorizzare il caffè ed i territori di eccellenza dove viene prodotto e, soprattutto, garantire ai consumatori un prodotto che è alla base della quotidianetà, ma del quale spesso conosciamo molto poco”.
Il progetto permetterà, quindi, di associare all’analisi sensoriale una scheda chimica delle diverse varietà di caffè analizzate, allo scopo di definire l’esistenza di una correlazione tra proprietà chimiche e organolettiche e gli aromi della “tazza” e favorire così maggiore tracciabilità e controllo dei caffè di origine di alta qualità. L’obiettivo è di allargare successivamente la partnership a tutti i maggiori paesi produttori di caffè specialty.
“L’attività di ricerca con l’Accademia è solo una delle diverse azioni intraprese da ENEA in questo settore. Ad esempio, la nostra intenzione è di studiare altre varietà di caffè con una maggiore resistenza ai cambiamenti climatici, come Coffeea Stenophilla, specie di Arabica selvatica. E poi ci sono le iniziative congiunte con l’Istituto Italo-Latino Americano per ottimizzare la fase di produzione primaria nell’ottica dell’economia circolare, attraverso la valorizzazione di tutti i residui e i sottoprodotti della filiera di produzione”, conclude Massimo Iannetta, responsabile della Divisione ENEA di Sistemi agroalimentari sostenibili.(30Science.com)