Valentina Arcovio

Declino cognitivo e demenza preoccupano 9 italiani su 10

(18 Settembre 2024)

Roma – Nell’Italia che invecchia, i disturbi cognitivi e le demenze sono un’emergenza sociosanitaria crescente e sempre più temuta: 9 italiani su 10 sono preoccupati per se stessi o che un proprio caro possa soffrirne in futuro, temendo soprattutto la perdita di autonomia, l’isolamento e il carico emotivo ed economico sul nucleo familiare, anche a causa della carenza di servizi socio-assistenziali, paventata da oltre il 70% di cittadini. Sono alcuni dei dati emersi da un’indagine realizzata dall’istituto di ricerche ‘EMG Different’ su un campione di 1000 italiani tra i 24 e i 75 anni, che ha indagato il livello di conoscenza su declino cognitivo e demenza, portando all’attenzione percezioni e bisogni informativi dei cittadini. La ricerca è stata presentata oggi a Milano nel corso dell’evento “Declino cognitivo e demenza: quanto ne sappiamo, cosa stiamo facendo e quale impatto sulla società e sul Servizio Sanitario Nazionale”, promosso da Neopharmed Gentili nel mese dedicato all’Alzheimer, la forma più diffusa di demenza, di cui ricorre la Giornata mondiale il 21 settembre. In Italia il declino cognitivo e la demenza interessano 2 milioni di pazienti e 4 milioni di caregiver2. Si stima che oltre 1 milione di persone soffrano di demenza (di cui 600.000 con malattia di Alzheimer) e altre 900mila siano affette da declino cognitivo live, conosciuto anche con l’acronimo inglese MCI (Mild Cognitive Impairment). Si tratta di una condizione clinica caratterizzata dal peggioramento in uno o più domini cognitivi (memoria, attenzione, linguaggio) che non compromette le normali attività quotidiane, ma su cui è necessario agire tempestivamente perché in circa il 50% dei casi progredisce in demenza nell’arco di 3 anni. Una sfida, dunque, da affrontare con diagnosi precoci e interventi mirati, ma anche promuovendo la conoscenza e la lotta allo stigma sociale. Gli italiani sono concordi (93%) sulla necessità di una maggiore informazione sull’argomento: nonostante la crescente sensibilità sui disturbi cognitivi, che per il 97% della popolazione costituiscono un grave problema per le famiglie e per la società, quasi 1 italiano su 2 (46%) dichiara di non sapere che la prevenzione è un’alleata per contrastare il declino cognitivo, e solo il 29% è consapevole della possibilità di intervenire sul decorso della malattia con trattamenti adeguati. Da non sottovalutare anche l’impatto della demenza sulla spesa sanitaria, che per il 63% è totalmente a carico delle famiglie. “Con l’aumento dell’aspettativa di vita, la demenza è destinata ad acquisire sempre più rilevanza: oggi ne soffre il 7% della popolazione over-60 e la percentuale sale al 30% negli over-85. Intervenire preventivamente nelle forme di precliniche di demenza è cruciale per contrastare la progressione della malattia”, dichiara Camillo Marra, presidente SINDem, Associazione autonoma aderente alla SIN per le demenze. “È stato evidenziato che un intervento su tutti i fattori di rischio modificabili, tra i 40 e i 60 anni, potrebbe ridurre del 40% l’evoluzione del declino cognitivo lieve in demenza. Ciò vuol dire – prosegue – agire su fumo, alcol, sedentarietà, diabete, ipertensione, dislipidemie, ma anche sugli aspetti legati alla socialità. L’ipovisione e la perdita di udito non riconosciute in età adulta sono altri fattori di rischio da non sottovalutare. Ma la ‘vera’ prevenzione inizia sui banchi di scuola riducendo il tasso di abbandono scolastico per agire su un fattore chiave di protezione rappresentato dal livello culturale: più siamo istruiti, infatti, più siamo in grado di alimentare la riserva cognitiva per quando saremo anziani. Anche sul fronte terapeutico, più si interviene in fase precoce, anche limitatamente ai trattamenti oggi disponibili, meglio si riesce a modificare il decorso della malattia”. All’esordio del disturbo cognitivo, la persona è autonoma, può continuare a lavorare, guidare e svolgere le attività abituali, anche se inizia a mostrare segnali che dovrebbero rappresentare dei campanelli d’allarme. Tuttavia, a fronte di un’ampia consapevolezza dei sintomi, riscontrata in oltre il 90% degli intervistati, non sempre risulta facile percepirli su se stesso o su un proprio caro. “Il declino cognitivo lieve è un quadro clinico da attenzionare al massimo perché rappresenta la fase della diagnosi precoce e coinvolge in prima persona il medico di medicina generale”, spiega Alessandro Pirani, rappresentante SIMG – Tavolo permanente Demenze, Ministero della Salute. “Il disturbo delle capacità di memoria è il segnale più eclatante, ma spesso viene ignorato o sminuito a causa dello stigma che lo ‘relega’ a un normale aspetto dell’invecchiamento. Altri campanelli d’allarme – continua – sono la comparsa di depressione, cambiamenti del carattere, la tendenza a perdere il filo del discorso. Inoltre, nella progressione della malattia, compaiono i disturbi del comportamento: insonnia, oppositività (il paziente non mangia, non si lascia lavare), aggressività fisica e verbale. La stabilizzazione di questi sintomi, che causano forte stress emotivo nei familiari, è un obiettivo assistenziale prioritario e decisivo ai fini della gestione del paziente al domicilio”. Le ripercussioni sul nucleo familiare sono tra le principali preoccupazioni degli italiani: per oltre il 90% degli intervistati, prendersi cura di un paziente affetto da disturbo cognitivo è fonte di stress e influisce sull’economia e sulla socialità di tutta la famiglia. (30Science.com)

Valentina Arcovio