Lucrezia Parpaglioni

Evitare 14 fattori di rischio potrebbe prevenire quasi la metà dei casi di demenza

(1 Agosto 2024)

Roma –  Sono 14 i fattori di rischio, tra cui la perdita della vista e il colesterolo alto, da affrontare per prevenire o ritardare l’insorgenza della demenza. Lo rivela un nuovo rapporto della terza Commissione Lancet 2024 sulla prevenzione, l’intervento e l’assistenza alla demenza, riportato sull’omonimo giornale, The Lancet, presentato alla Conferenza Internazionale dell’Associazione Alzheimer, AAIC 2024. Il potenziale per prevenire e gestire meglio la demenza è elevato se l’azione per affrontare questi fattori di rischio inizia nell’infanzia e continua per tutta la vita, anche negli individui con un alto rischio genetico di demenza. Il nuovo rapporto delinea 14 raccomandazioni per i singoli e i governi per contribuire a ridurre il rischio, tra cui la prevenzione e il trattamento della perdita dell’udito, della vista e della depressione; l’essere cognitivamente attivi per tutta la vita; l’uso di protezioni per la testa negli sport di contatto; la riduzione dei fattori di rischio vascolare, come colesterolo alto, diabete, obesità, pressione alta; il miglioramento della qualità dell’aria e la fornitura di ambienti comunitari di supporto per aumentare i contatti sociali. Prendendo come esempio l’Inghilterra, una nuova ricerca che ha modellato l’impatto economico dell’attuazione di alcune di queste raccomandazioni suggerisce che il Regno Unito potrebbe ottenere un risparmio di circa 4 miliardi di sterline con interventi a livello di popolazione che affrontino i fattori di rischio di demenza legati all’uso eccessivo di alcol, alle lesioni cerebrali, all’inquinamento atmosferico, al fumo, all’obesità e all’ipertensione. Affrontare 14 fattori di rischio modificabili, a partire dall’infanzia e per tutta la vita, potrebbe prevenire o ritardare quasi la metà dei casi di demenza, anche se le persone in tutto il mondo vivono più a lungo e il numero di persone affette da demenza è destinato ad aumentare drasticamente in tutti i Paesi. Sulla base delle ultime evidenze disponibili, il nuovo rapporto aggiunge due nuovi fattori di rischio che sono associati al 9% di tutti i casi di demenza, con una stima del 7% dei casi attribuibile all’elevata presenza di lipoproteine a bassa densità, LDL, o colesterolo “cattivo” nella mezza età, a partire dai 40 anni circa, e del 2% dei casi attribuibile alla perdita della vista non trattata in età avanzata. Questi nuovi fattori di rischio si aggiungono ai 12 fattori di rischio precedentemente identificati dalla Commissione Lancet nel 2020, come bassi livelli di istruzione, problemi di udito, pressione alta, fumo, obesità, depressione, inattività fisica, diabete, consumo eccessivo di alcol, lesioni cerebrali traumatiche, TBI, inquinamento atmosferico e isolamento sociale, che sono collegati al 40% di tutti i casi di demenza. Il nuovo rapporto stima che i fattori di rischio associati alla maggior percentuale di persone che sviluppano la demenza nella popolazione globale sono l’ipoacusia e l’alto livello di colesterolo LDL, 7% ciascuno, oltre alla minore istruzione nei primi anni di vita e all’isolamento sociale in età avanzata, 5% ciascuno. La Commissione, redatta da 27 esperti di demenza a livello mondiale, invita i governi e i singoli individui a essere ambiziosi nell’affrontare i rischi di demenza lungo tutto l’arco della vita, sostenendo che quanto più precocemente si possono affrontare e ridurre i livelli di fattori di rischio, migliori saranno i risultati. Il rapporto delinea una nuova serie di cambiamenti nelle politiche e negli stili di vita per aiutare a prevenire e gestire meglio la demenza.  A causa del rapido invecchiamento della popolazione mondiale, il numero di persone affette da demenza dovrebbe quasi triplicare entro il 2050, passando da 57 milioni nel 2019 a 153 milioni. L’aumento dell’aspettativa di vita sta inoltre determinando un incremento delle persone affette da demenza nei Paesi a basso reddito. I costi sanitari e sociali globali legati alla demenza sono stimati in oltre 1.000 miliardi di dollari all’anno. Tuttavia, in alcuni Paesi ad alto reddito, tra cui gli Stati Uniti e il Regno Unito, la percentuale di anziani affetti da demenza è diminuita, in particolare tra coloro che vivono in aree socio-economicamente avvantaggiate. Gli autori del rapporto ritengono che questo calo delle persone che sviluppano la demenza sia probabilmente dovuto in parte all’aumento della resilienza cognitiva e fisica nel corso della vita e alla riduzione dei danni vascolari grazie ai miglioramenti dell’assistenza sanitaria e ai cambiamenti dello stile di vita, dimostrando l’importanza di attuare approcci di prevenzione il più precocemente possibile. Tuttavia, la maggior parte dei piani nazionali per la demenza non contiene raccomandazioni specifiche sulla diversità, l’equità o l’inclusione delle persone appartenenti a culture ed etnie poco servite, che sono colpite in modo sproporzionato dai rischi di demenza “Il nostro nuovo rapporto rivela che si può e si deve fare molto di più per ridurre il rischio di demenza non è mai troppo presto o troppo tardi per agire, con la possibilità di avere un impatto in qualsiasi fase della vita”, ha affermato Gill Livingston, dell’University College di Londra, Regno Unito e autrice principale del rapporto. “Ora abbiamo prove più solide che l’esposizione prolungata ai rischi ha un effetto maggiore e che questi fattori agiscano più fortemente nelle persone vulnerabili” ha continuato Livingston. Per questo è fondamentale raddoppiare gli sforzi di prevenzione verso coloro che ne hanno più bisogno, compresi quelli dei Paesi a basso e medio reddito e i gruppi socio-economicamente svantaggiati” ha proseguito Livingston. “I governi devono ridurre le disuguaglianze di rischio rendendo gli stili di vita sani il più possibile accessibili a tutti”, ha raccomandato Livingston. “Dato il carico molto più elevato di fattori di rischio per la demenza nei Paesi a basso e medio reddito, con il previsto aumento della demenza nei prossimi decenni a causa del rapido invecchiamento della popolazione e dell’aumento dei tassi di ipertensione, diabete e obesità, abbiamo bisogno di approcci preventivi urgenti basati su politiche che avranno enormi benefici potenziali, di gran lunga superiori ai costi”, ha affermato Cleusa Ferri, dell’Universidade Federal de Sao Paulo e dell’Hospital Alemão Oswaldo Cruz, San Paolo Brasile, e coautrice del rapporto. “Dare priorità ad approcci a livello di popolazione che migliorino la prevenzione primaria, come ad esempio, ridurre l’assunzione di sale e zucchero, e un’assistenza sanitaria efficace per condizioni come l’obesità e l’ipertensione, limitando il fumo e l’inquinamento atmosferico e consentendo a tutti i bambini di ottenere una buona istruzione, potrebbe avere un effetto profondo sulla prevalenza della demenza e sulle disuguaglianze, oltre che un significativo risparmio sui costi”, ha aggiunto Naaheed Mukadam dell’University College di Londra, coautore della Commissione. Il rapporto parla anche dei progressi sperati nei biomarcatori ematici e negli anticorpi anti-amiloide β per la malattia di Alzheimer. Gli autori spiegano che i biomarcatori ematici rappresentano un importante passo avanti per le persone affette da demenza, aumentando potenzialmente la scalabilità e riducendo l’invasività e il costo dei test per una diagnosi accurata. Sebbene esistano studi clinici promettenti, gli autori del rapporto mettono in guardia sul fatto che i trattamenti con anticorpi anti-amiloide β sono nuovi, senza dati disponibili a lungo termine, e invitano ad approfondire la ricerca e ad aumentare la trasparenza.(30Science.com)

Lucrezia Parpaglioni
Sono nata nel 1992. Sono laureata in Media Comunicazione digitale e Giornalismo presso l'Università Sapienza di Roma. Durante il mio percorso di studi ho svolto un'attività di tirocinio presso l'ufficio stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Qui ho potuto confrontarmi con il mondo della scienza fatto di prove, scoperte e ricercatori. E devo ammettere che la cosa mi è piaciuta. D'altronde era prevedibile che chi ha da sempre come idolo Margherita Hack e Sheldon Cooper come spirito guida si appassionasse a questa realtà. Da qui la mia voglia di scrivere di scienza, di fare divulgazione e perché no? Dimostrare che la scienza può essere anche divertente.