Roma – Salvare le uova di calamaro dalla minaccia di una nuova specie di copepode parassita grazie ad un trattamento rispettoso dell’ambiente. E’ quanto ottenuto da un team di ricercatori i cui risultati sono stati pubblicati su “Scientific Reports”. L’allevamento di calamari in acquacoltura è una sfida che i ricercatori hanno cercato di affrontare per molti decenni senza un successo significativo. I calamari sono altamente sensibili ai cambiamenti nel flusso dell’acqua, sono vulnerabili alle malattie, hanno cicli di vita complessi e preferenze alimentari difficili da soddisfare e possono diventare aggressivi l’uno verso l’altro, il che li rende difficili da allevare. Allo stesso tempo, la popolazione di calamari selvatici sta precipitando a causa della pesca eccessiva e dei cambiamenti climatici. A fronte di questa situazione i ricercatori dell’ Okinawa Institute of Science and Technology (OIST) sono riusciti a debellare l’ennesima minaccia ai calamari data dal parassita in questione. “La gestione delle malattie è l’aspetto più importante dell’acquacoltura”, afferma il coautore Dr. Zdenek Lajbner della Physics and Biology Unit dell’OIST , guidata dal Professor Jonathan Miller. Il Dr. Lajbner è stato determinante nella creazione del programma di acquacoltura dei calamari presso l’OIST.
“Sono contento di vedere che siamo riusciti a eliminare una seria minaccia per la salute dei calamari”. I copepodi sono un gruppo di crostacei e si presentano in molte forme diverse: vivono liberamente nell’oceano, formano relazioni simbiotiche con altre specie o sopravvivono come parassiti su o all’interno di altre forme di vita marina. La specie scoperta nella struttura sperimentale dell’OIST, scientificamente chiamata Ikanecator primus dalla parola giapponese per calamaro (‘ika’) e dal latino necator che significa assassino, vive sulle uova di calamaro, masticandole e scomponendole usando una varietà di enzimi, spesso portando alla morte dell’uovo o alla schiusa prematura. Anche se l’uovo sopravvivesse, il parassita si aggancia ai piccoli mentre escono dall’uovo, danneggiando ulteriormente i giovani calamari. Oltre al danno meccanico, i calamari erano anche inclini a infezioni batteriche, che i ricercatori ipotizzano possano essere scatenate anche dai copepodi. “I copepodi sono molto prolifici”, spiegano i ricercatori: “Ogni femmina trasporta 50-60 uova, che si schiudono entro tre settimane. Il tempo medio di incubazione per i calamari è di un mese, il che significa che si hanno molte centinaia di copepodi per covata di uova di calamaro”. Se da un lato le uova di calamaro in acquacoltura sono particolarmente vulnerabili a infestazioni come questa a causa della loro vicinanza le une alle altre, i copepodi sono stati trovati anche su uova recuperate in natura. Oltre a descrivere attentamente l’aspetto e il comportamento dei copepodi, i ricercatori hanno anche lavorato per aiutare i piccoli di calamaro. Hanno trovato un alleato nell’acido peracetico (PAA), ampiamente utilizzato in una varietà di settori, dall’acquacoltura ittica alla medicina veterinaria e alla lavorazione alimentare. “Abbiamo testato varie soluzioni di PAA e ne abbiamo trovata una che uccide il 100 per cento dei parassiti in meno di due minuti, senza alcun effetto sui calamari o sulle loro generazioni successive”, spiegano i ricercatori. Il dott. Lajbner in particolare ha aggiunto che “il PAA è completamente biodegradabile, a differenza di molti dei trattamenti attualmente in uso in Giappone, come l’ipoclorito o l’acido borico, che sono significativamente più dannosi per l’ambiente”. (30Science.com)