Roma – La maggior parte delle persone non avrebbe difficoltà ad adottare comportamenti sostenibili per la cura dei panni, ma non a scapito della pulizia, perché il timore di essere considerati sporchi prevale sulla spinta ad agire in modo più rispettoso dell’ambiente. Questo, in estrema sintesi, è quanto emerge da uno studio, pubblicato sulla rivista Plos One, condotto dagli scienziati della Chalmers University of Technology, in Svezia. Il team, guidato da Erik Klint e Gregory Peters, ha coinvolto circa duemila partecipanti, che hanno risposto alle domande di due diversi sondaggi. I questionari vertevano sul comportamento nel lavarsi e nel pulire il bucato, nonché sulle norme igieniche, sulla sensibilità al disgusto e sulla vergona. Le emissioni e le microplastiche derivanti dal lavaggio dei vestiti, riportano gli esperti, hanno raggiunto dei picchi notevoli negli ultimi tempi, anche perché l’accesso alle fonti di pulizia è ora più semplice ed economico rispetto a qualche decennio fa. Secondo le stime degli scienziati, tra il 16 e il 35 per cento delle microplastiche a livello globale deriva dal lavaggio delle fibre sintetiche. Anche l’uso dei detersivi e dell’energia è associato a un impatto ambientale notevole. Nell’ambito dei sondaggi, gli autori hanno valutato l’identità ambientale e l’inclinazione a provare sentimenti di disgusto e disagio.
“Gli esseri umani – osserva Klint – sono costantemente posti di fronte a diversi conflitti di obiettivi. In questo caso, pur essendo spinti all’attenzione all’ambiente, si teme di essere etichettati come sporchi. Il nostro lavoro dimostra che il sentimento di disagio prevale nettamente sulla consapevolezza ambientale. Il disgusto, in effetti, è un’emozione condizionata dall’evoluzione, che ci protegge da infezioni o sostanze pericolose”. I ricercatori si sono quindi interrogati sulle campagne di sensibilizzazione e sui messaggi mirati a convincere le persone ad attuare comportamenti più responsabili. “Il punto di partenza dei messaggi proposti è errato – sostiene Klint – le argomentazioni sensate e basate sulla ricerca perdono efficacia quando devono scontrarsi con il desiderio di appartenenza. L’attenzione dovrebbe essere orientata verso l’atteggiamento indiretto che porta al lavaggio”. Di conseguenza, sostengono gli autori, bisognerebbe insegnare alle persone a generare meno bucato, focalizzando l’attenzione su come e quando vengono sistemati i vestiti in lavatrice e quando il carico è considerato pieno. “Si potrebbe anche comunicare l’importanza di azioni diverse prima di utilizzare la lavatrice – conclude Peters – come areare gli indumenti, spazzolare lo sporco o rimuovere le singole macchie a mano. Infine, anche le argomentazioni economiche potrebbero essere valide, dato che con i programmi in lavatrice i vestiti tendono a rovinarsi più facilmente”. (30science.com) Valentina Di Paola