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Il più antico rettile fossile delle Alpi è un falso

(16 Febbraio 2024)

Roma – Un rettile fossile di 280 milioni di anni fa, ritenuto il più antico fossile delle Alpi ad aver conservato i tessuti molli, si è rivelato essere un falso. A svelarlo un nuovo esame dei resti, guidato da Valentina Rossi, dell’University College Cork, in Irlanda, i cui risultati sono stati riportati sulla rivista, Palaeontology. Il Tridentinosaurus antiquus è stato scoperto sulle Alpi italiane nel 1931 ed è stato ritenuto un esemplare importante per comprendere l’evoluzione dei primi rettili. Il profilo del corpo, che appare scuro rispetto alla roccia circostante, è stato inizialmente fatto risalire a tessuti molli ben conservati, classificandolo nel gruppo dei rettili Protorosauria. Tuttavia, la nuova ricerca ha rivelato che il fossile, famoso per la sua notevole conservazione, si tratta di vernice nera su una superficie rocciosa scolpita a forma di lucertola.

Il Tridentinosaurus antiquus è stato scoperto sulle Alpi italiane nel 1931 e si pensava fosse un esemplare importante per comprendere l’evoluzione dei primi rettili, ma ora si è scoperto che è in parte un falso. La sagoma del corpo, che appare scura rispetto alla roccia circostante, era stata inizialmente interpretata come tessuti molli conservati, ma ora si sa che si tratta di vernice. CREDITO Dott.ssa Valentina Rossi

La presunta pelle fossile, annoverata in articoli e libri, non è mai stata studiata in dettaglio. La strana conservazione del fossile aveva lasciato molti esperti incerti su quale gruppo di rettili appartenesse questo strano animale simile a una lucertola. Inoltre, gli scienziati hanno riscontrato altrettante difficoltà nel definirne la sua storia geologica. “I tessuti molli fossili sono rari, ma quando si trovano in un fossile possono rivelare importanti informazioni biologiche, per esempio la colorazione esterna, l’anatomia interna e la fisiologia”, ha detto Valentina Rossi, della Scuola di Scienze Biologiche, Terrestri e Ambientali dell’UCC. “La risposta a tutte le nostre domande era proprio davanti a noi, dovevamo studiare questo esemplare fossile nei dettagli per svelarne i segreti, anche quelli che forse non volevamo conoscere”, ha continuato Rossi. L’analisi al microscopio ha mostrato che la consistenza e la composizione del materiale non corrispondeva a quella dei veri tessuti molli fossili. Le indagini preliminari, condotte con la fotografia UV, hanno rivelato che l’intero esemplare è stato trattato con un qualche tipo di rivestimento con vernice o lacca. In passato, usare vernice o lacca era la norma e, talvolta si rende tuttora necessario per preservare un esemplare fossile nelle vetrine dei musei e nelle esposizioni. La squadra di scienziati sperava che sotto lo strato di rivestimento i tessuti molli originali fossero ancora in buone condizioni, così da poter estrarre informazioni paleobiologiche significative. I risultati della ricerca indicano che la sagoma del corpo di Tridentinosaurus antiquus è stata creata artificialmente, probabilmente per migliorare l’aspetto del fossile. Questa pratica ha tratto in inganno i ricercatori precedenti e suggerisce cautela per lo studio di questo esemplare in futuro. Il gruppo di ricerca che ha condotto questa analisi comprende collaboratori con sede in Italia presso l’Università di Padova, il Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige e il Museo delle Scienze di Trento. “La particolare conservazione del Tridentinosauro ha lasciato perplessi gli esperti per decenni”, ha affermato la coautrice, Evelyn Kustatscher, coordinatrice del progetto “Vivere con il supervulcano”, finanziato dalla Provincia Autonoma di Bolzano. “Ora, tutto ha un senso: quella che era stata descritta come pelle carbonizzata, è solo vernice”, ha aggiunto Kustatscher. “Tuttavia, non tutto è andato perduto e il fossile non è un falso completo”, ha precisato Kustatscher. “Le ossa degli arti posteriori, in particolare i femori, sembrano autentiche, anche se mal conservate”, ha osservato Kustatscher. “Inoltre, le nuove analisi hanno evidenziato la presenza di minuscole scaglie ossee chiamate osteodermi, simili alle scaglie dei coccodrilli, su quella che forse era la schiena dell’animale”, ha spiegato Kustatscher. “Lo studio è un esempio di come la moderna paleontologia analitica e i rigorosi metodi scientifici possano risolvere un enigma paleontologico quasi secolare”, ha concluso Kustatscher. (30Science.com)

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