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CNR: “Il ghiaccio marino artico si sta riducendo sia in estensione che in spessore a una velocità che non ha precedenti”

(23 Febbraio 2024)

Roma – “Il ghiaccio marino artico si sta riducendo sia in estensione che in spessore a una velocità che non ha precedenti, riducendo l’estensione dello schermo bianco in grado di riflettere energia termica nello spazio. La fusione del permafrost terrestre e subacqueo causa una drammatica accelerazione dell’immissione di gas climalteranti in atmosfera. La jet stream atmosferica che circonda l’Artico sta perdendo velocità, portando occasionalmente aria fredda alle medie latitudini ma causando ulteriore riscaldamento in Artico. La calotta di ghiaccio della Groenlandia è destabilizzata e destinata a causare un innalzamento del livello del mare globale senza precedenti negli ultimi 10.000 anni”, ha affermato Fabio Trincardi, direttore del Dipartimento di scienze del sistema Terra e tecnologie per l’ambiente del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Dsstta), e rappresentante uscente dell’Ente nel Comitato Scientifico Artico del PRA al meeting annuale del Programma Ricerche in Artico, organizzato a Roma, presso la sede centrale del Cnr, giovedì 22 febbraio.

Il convegno ha rappresentato un’occasione per fare il punto sulla gravità della crisi climatica e della distruzione di biodiversità in atto in Artico, oltre che per valutare gli scenari di ulteriore impatto antropogenico sull’area e per presentare i risultati dei primi anni di finanziamento del PRA.

I più recenti rilevamenti confermano che l’aumento della temperatura in Artico è drammaticamente superiore alla media mondiale, con alcune regioni che presentano un aumento fino a 2.7°C ogni dieci anni, corrispondente addirittura a 5-7 volte il tasso di crescita globale della temperatura.

Le due relazioni ad invito che hanno aperto la giornata sono state offerte dal Prof. Kim Holmen del Norvegian Polar Institute sulle necessità di osservazione e miglioramento della modellistica climatica in Artico – e alle Svalbard in particolare – e dalla Dr.ssa Lucilla Alfonsi di INGV sull’interazione tra attività solare e magnetosfera terrestre, incluse le ricadute in campo economico attraverso la trasmissione di dati e le tecniche di posizionamento satellitare. Alfonsi (INGV) in particolare, ha evidenziato come l’atmosfera polare sia continuamente esposta alle variazioni dall’attività solare, a causa della conformazione del campo magnetico terrestre che, di fatto, invita le particelle cariche trasportate dal vento solare ad entrare nella nostra atmosfera dando luogo anche a meravigliose manifestazioni naturali come le aurore. Possiamo quindi considerare le regioni polari come sentinelle delle condizioni dello spazio che circonda la Terra. Questa caratteristica rende l’atmosfera polare un formidabile laboratorio naturale per lo studio delle relazioni Sole-Terra anche nell’ambito della meteorologia spaziale, disciplina che ambisce a prevedere e a mitigare gli effetti dannosi delle perturbazioni solari su tecnologie largamente usate (quali, ad esempio, quelle che utilizzano i satelliti GPS).

La riduzione del ghiaccio marino sta anche favorendo un incremento del traffico navale nella regione, con conseguente aumento dei rifiuti in mare e soprattutto con un aumento delle emissioni di fuliggine, che “sporca” il ghiaccio riducendone la capacità di riflettere l’energia infrarossa. Studi recenti confermano come anche gli incendi nella zona boreale – soprattutto nelle regioni siberiane come la Yakutia – stiano pericolosamente aumentando a causa della crisi climatica in atto. Si osservano anche importanti variazioni nella struttura e nella circolazione dell’oceano e dell’atmosfera, e impatti importanti sull’ecosistema.

Nell’ambito delle attività finanziate attraverso il Programma di Ricerca in Artico, i progetti “PAST-HEAT” e “SENTINEL”, coordinati rispettivamente da Tommaso Tesi e Andrea Spolaor dell’Istituto di scienze polari del Cnr, hanno complessivamente dimostrato l’instabilità della criosfera artica, come ghiaccio marino e permafrost, a seguito di rapidi eventi climatici.

“PAST-HEAT” ha dimostrato come eventi caldi nel recente passato (circa 15.000 anni fa) caratterizzati da un rapido innalzamento del livello marino abbiano generato contestualmente un improvviso e massivo collasso del permafrost costiero in Siberia”.

“SENTINEL”, invece ha dimostrato che, durante l’ultima deglaciazione (tra 15000 e 9000 anni anni fa), le variazioni di ghiaccio marino e la maggior esposizione di superfice marina abbiano influenzato le emissioni di mercurio in Artico oltre a dimostrare la rapida diminuzione attuale del ghiaccio marino sul ciclo del vapor d’acqua.

“Uno dei risultati più rilevanti riguarda la fusione del permafrost che si traduce nel rilascio di gas climalteranti, soprattutto metano, in atmosfera ma anche di virus, come l’Antrace, e di enormi quantità di sostanza organica in oceano”, documenta il progetto di Tommaso Tesi (Cnr-Isp) che, prima della difficile situazione politica in Europa, ha studiato l’area siberiana e il mare di Laptev.

“Tutte queste variazioni influenzano processi che si estendono su scala globale. Quello che succede in Artico, non resta in Artico, ma impatta anche le medie latitudini”, ricorda Andrea Spolaor (Cnr-Isp). L’estendersi in Europa, e fino al Mediterraneo, delle conseguenze dei fenomeni di riduzione dell’ozono che hanno caratterizzato l’Artico nel 2011 e il 2020, è stato messo in evidenza da recenti studi anche di ricercatori italiani e rappresentano un esempio immediato di interazione e interconnessione tra le regioni artiche e le nostre latitudini.

L’Artico si conferma quindi una regione chiave per lo studio dei cambiamenti climatici, i cui effetti sono sempre più evidenti a tutte le latitudini. Per queste ragioni il PRA si è focalizzato sul fenomeno della cosiddetta “amplificazione artica”, sugli ecosistemi artici, sull’atmosfera e sulla colonna d’acqua dei mari artici, sulle ricostruzioni paleoclimatiche e sugli effetti della crisi climatica sulle popolazioni che vivono in Artico. Questa focalizzazione risulta ancora pienamente valida ed è stata estesa al triennio successivo, in corso.

Ad esempio, con il progetto “ECAPAC” (Effects of Changing Precipitation and Albedo in the arctic Climate, proponente Virginia Ciardini, ENEA), si stanno investigando le complesse connessioni fra precipitazione e albedo superficiale. Variazioni di albedo sono importanti nella determinazione del bilancio di radiazione alla superficie e conseguentemente del bilancio energetico. La fase della precipitazione (solida, liquida) e le condizioni, come temperatura e vento, che determinano il quantitativo e la persistenza o meno della neve e del ghiaccio al suolo, pesano molto sulle variazioni di albedo. I differenti effetti su albedo e sul bilancio di radiazione possono attivare meccanismi di retroazione che favoriscono l’accumulo o, al contrario, la perdita neve e ghiaccio alla superficie. I dati che si stanno raccogliendo nell’ambito del progetto e che si hanno a disposizione, permettono di caratterizzare casi con differenti condizioni e di comprendere i processi.

Il PRA mette, inoltre, in evidenza l’importanza per la ricerca in Artico della Stazione “Dirigibile Italia” gestita dal Cnr alle Isole Svalbard sin dal 1997, come pure le iniziative italiane presso altre strutture artiche, a partire da quelle di ENEA, INGV e Università di Roma Sapienza presso l’High Arctic Atmospheric Observatory (THAAO) di Thule in Groenlandia e dell’INGV presso le stazioni di monitoraggio della ionosfera a Ny Alesund e Longyearbyen.

La norma istitutiva del PRA inserisce il Programma nel quadro delle collaborazioni internazionali dell’Italia relative all’Artico, con esplicito riferimento all’International Arctic Science Committee (IASC), al Sustaining Arctic Observing Network (SAON), al Ny Alesund Managers Committee (NyMASC), all’Arctic Science Ministerial (ASM) ed al Consiglio Artico. Il PRA ha richiamato anche altre importanti iniziative, in primo luogo in ambito europeo, quali lo European Polar Board (EPB), EU-Polarnet e INTERACT, ma anche per la parte infrastrutturale lo Svalbard Integrated Arctic Earth Observing System (SIOS) e l’Arctic Research Icebreaker Consortium (ARICE).

In aggiunta, si possono citare l’Arctic Regional Ocean Observing System (ROOS), l’International Ocean Discovery Program (IODP), con tre progetti di perforazioni artiche a partecipazione italiana (uno a guida italiana) recentemente approvati, e il contributo italiano alle attività per il rafforzamento della International Bathymetric Chart of the Arctic Ocean (IBCAO). In particolare, il progetto PRA “IRIDYA” (proponente Renata Lucchi, OGS) ha contribuito attivamente all’approvazione della campagna di ricerca dell’International Ocean Discovery Program IODP Exp-403 che studierà la storia della glaciazione artica e le transizioni climatiche degli ultimi 5 milioni di anni con particolare attenzione ai periodi caldi e loro impatto sulla copertura glaciale per uno studio comparato al riscaldamento attuale.

Va sottolineato l’approccio corale nella partecipazione alle attività internazionali, che vede il coinvolgimento di Università ed enti di ricerca (in particolare Cnr, ENEA, INGV e OGS), nonché di Ministeri (MITE, MUR, Difesa attraverso l’Istituto Idrografico della Marina Militare, MIMS, attraverso il Comando Generale delle Capitanerie di Porto), come ad esempio evidenziato nel rapporto al Consiglio Artico sul contributo dell’Italia quale Stato Osservatore.

Sul piano infrastrutturale, la novità per l’Italia nell’ultimo periodo è l’acquisizione di una nuova nave da ricerca polare da parte dell’OGS, la nave oceanografica “Laura Bassi”, che ha già effettuato una prima campagna in Artico, con tre progetti di ricerca co-finanziati su fondi PRA, e che auspicabilmente potrà tornare in Artico, in coordinamento con le attività previste in Antartide.

A questa disponibilità si aggiunge, a partire dal 2023, quella della nave oceanografica del Cnr “Gaia Blu”, in grado di svolgere ricerche in oceano e in aree polari artiche durante la stagione estiva. Vanno ricordati anche gli osservatori marini profondi al largo delle Svalbard (mooring oceanografici), mantenuti dal 2014 con sforzo congiunto di OGS e Cnr, con il supporto dell’Istituto Idrografico (IIM) e del Centre for Maritime Research and Experimentation (CMRE).

Tra gli obiettivi ad ampio raggio del programma rientra la comprensione quantitativa dei complessi processi e aspetti del sistema climatico artico, privilegiando un approccio integrato che affronti:

  • i cambiamenti della criosfera, dell’atmosfera neutra e ionizzata, dell’oceano, della biosfera e delle loro interazioni anche con gli aspetti geologici e geomorfologici e del geo-rischio;
  • la caratterizzazione dei cambiamenti della composizione, della dinamica, della stabilità e della struttura verticale dell’atmosfera e della colonna d’acqua dei mari artici, inclusi il rilievo batimetrico e i cambiamenti nella circolazione oceanica, dei fiordi e le interazioni fra circolazione costiera e oceanica, i cambiamenti nel ciclo idrologico artico, e considerando anche l’analisi dei possibili effetti dei cambiamenti che avvengono in Artico sulle condizioni meteoclimatiche alle medie latitudini;
  • i cambiamenti degli ecosistemi artici, sia marini sia terrestri, e le relative conseguenze sulla dinamica e distribuzione delle popolazioni animali e vegetali, sulle interazioni suolo-vegetazione-atmosfera, sui cambiamenti della fenologia e sulla biodiversità nel contesto dell’attuale rapida de-glaciazione continentale e marina. L’effetto degli inquinanti sull’ecosistema e più in generale sull’ambiente artico, e lo sviluppo di approcci che permettano di ridurne le conseguenze negative;
  • le ricostruzioni paleoclimatiche e l’analisi e la modellazione dei processi che influenzano e hanno influenzato durante transizioni climatiche la criosfera nell’Artico, tramite l’integrazione di dati geochimici, geologici e geofisici dell’ambiente marino e delle carote di ghiaccio;
  • gli effetti dei cambiamenti climatici e ambientali sul benessere, sulla salute e sulla sicurezza delle popolazioni che vivono in Artico, nonché sullo sviluppo sostenibile della regione e la preservazione delle culture tradizionali indigene, sia per la mutata disponibilità di risorse, sia per l’aumentata variabilità ambientale, sia per l’effetto degli inquinanti.

Una discussione aperta con la comunità scientifica si è, infine, incentrata su possibili forme di ulteriore incentivazione della politica di “open data” e di “open science” su tutti i progetti artici per garantire il massimo uso dei dati acquisiti anche per usi diversi da quelli del progetto che li ha inizialmente raccolti. In questo modo l’Italia può diventare un perno nella politica di “big data” in una zona cruciale del Pianeta sia dal punto di vista scientifico che strategico e diplomatico.

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