Roma – Aria respirabile, acqua pulita, foreste in salute e biodiversità contribuiscono al benessere delle persone in misure che possono essere molto difficili da quantificare. Il ‘capitale naturale’ è il concetto che scienziati, economisti e decisori politici utilizzano per rappresentare il flusso attuale e futuro dei benefici che le risorse naturali apportano alle persone e alle società.
Uno studio condotto da scienziati dell’Università della California – Davis e dall’Istituto di Oceanografia Scripps presso l’UC San Diego e realizzato con il contributo dei ricercatori CMCC Massimo Tavoni, Johannes Emmerling e Francesco Granella, evidenzia in che misura i benefici offerti dalla natura diminuiscano, man mano che il cambiamento climatico aumenta la pressione sugli ecosistemi.
“La grande domanda è: cosa perdiamo quando un ecosistema va perduto?” ha dichiarato il primo autore dello studio Bernardo Bastien-Olvera, studente di dottorato presso UC Davis e attualmente ricercatore post-doc presso Scripps. “Ribaltando la domanda: cosa guadagniamo se siamo in grado di contenere il cambiamento climatico e evitare alcuni dei suoi impatti sui sistemi naturali? Questo studio ci aiuta a considerare meglio i danni di solito non contabilizzati, e rivela anche una dimensione solitamente trascurata, ma sorprendente, degli effetti del cambiamento climatico sui sistemi naturali: la loro capacità di aggravare l’ineguaglianza economica globale”.
Quando i paesi perdono capitale naturale, le loro economie ne risentono. Lo studio ha rilevato che, entro il 2100, i cambiamenti indotti dal cambiamento climatico nella vegetazione e nei modelli di precipitazioni e l’incremento di CO2 comporteranno una riduzione media del 1,3% del Prodotto Interno Lordo (PIL) in tutti i paesi analizzati. Ha inoltre evidenziato profonde disuguaglianze nella distribuzione di questi impatti.
“La nostra ricerca ha rilevato che il 50% più povero dei paesi e delle regioni del mondo dovrebbe sopportare il 90% dei danni al PIL”, ha affermato Bastien-Olvera. “In netto contrasto, le perdite per il 10% più ricco sarebbero limitate appena al 2%.”
Secondo gli autori, ciò avviene principalmente perché i paesi a basso reddito tendono a fare maggiormente affidamento sulle risorse naturali per la loro produzione economica, e una parte più ampia della loro ricchezza si trova nella forma di capitale naturale.
Per realizzare lo studio, gli autori hanno utilizzato modelli di vegetazione globale, modelli climatici e stime della Banca Mondiale sui valori del capitale naturale per calcolare le conseguenze dei cambiamenti climatici sui servizi ecosistemici, sulla produzione economica e sulle riserve di capitale naturale dei paesi.
Queste stime potrebbero essere conservative, poiché l’analisi ha considerato solo sistemi terrestri, principalmente foreste e praterie. L’intenzione è quella di affrontare gli impatti sugli ecosistemi marini nelle future ricerche. Lo studio, inoltre, non ha tenuto conto di elementi di disturbo come incendi boschivi o mortalità degli alberi causata dagli insetti.
Il ruolo del CMCC è stato quello di integrare il capitale naturale e le funzioni di impatto nel suo modello climatico-economico RICE50+, che ha un elevato dettaglio regionale. I ricercatori del CMCC hanno esteso la funzione di produzione macroeconomica del modello per includervi il capitale naturale e i feedback del sistema climatico (modello ‘Green RICE50+’).
In generale, lo studio sottolinea l’importanza di progettare politiche climatiche che tengano conto degli specifici valori che ciascun paese trae dai propri sistemi naturali.
“Con questo studio, stiamo integrando sistemi naturali e benessere umano all’interno di un quadro economico”, ha dichiarato Frances C. Moore, professoressa associata nel Dipartimento di Scienze Ambientali e Politiche dell’UC Davis, tra gli autori dell’articolo. “La nostra economia e il nostro benessere dipendono da questi sistemi, e dovremmo riconoscere e tener conto di questi danni trascurati quando consideriamo il costo di un clima in cambiamento”.
“La perdita di biodiversità e habitat naturali negli ultimi decenni è ben documentata” spiega Johannes Emmerling, Senior Scientist presso RFF-CMCC European Institute on Economics and the Environment (EIEE) e tra gli autori dello studio, “ed è importante anche per il funzionamento della nostra economia. Integrando sia servizi di mercato che non di mercato, sia beni privati che pubblici in un modello economico, siamo in grado di quantificare gli impatti macroeconomici potenziali di tali perdite. Tuttavia, siamo solo all’inizio del lavoro necessario per una comprensione esaustiva del ruolo del capitale naturale e della biodiversità per l’economia”, ha aggiunto.
“Integrare i servizi degli ecosistemi all’interno di un modello clima-economia dettagliato ci ha permesso di avere una prospettiva più completa sulle conseguenze distributive degli impatti climatici”, continua Francesco Granella, ricercatore presso l’RFF-CMCC European Institute on Economics and the Environment (EIEE) e tra gli autori dello studio, “e i risultati sottolineano la dimensione collettiva delle sfide derivanti dalla perdita di biodiversità e dai cambiamenti climatici”.
“Biodiversità e cambiamento climatico sono crisi intrecciate”, afferma Massimo Tavoni, direttore dell’RFF-CMCC European Institute on Economics and the Environment (EIEE). “Questo studio dimostra che agire su entrambi non è solo nell’interesse del pianeta ma anche di tutti noi”.(30Science.com)