Roma – “Il CNR ha una storia di successi straordinari, ma nonostante questi successi il CNR, come tutto il comparto della ricerca, è sottofinanziato. I finanziamenti diretti dello stato coprono gli stipendi o poco più e la quasi totalità delle ricerche vengono finanziati con i fondi ottenuti mediante grant, italiani o europei, contratti con amministrazioni pubbliche e anche con privati”. Lo ha detto il Premio Nobel Giorgio Parisi nel suo discorso in occasione del centenario del Consiglio Nazionale delle Ricerche a Roma.
“L’assoluta scarsezza di fondi da destinare autonomamente a imprese scientifiche – ha spiegato Parisi nel suo discorso – impedisce al CNR di essere in grado di fare scelte strategiche sulla direzione nella quale sviluppare la ricerca. Viene naturale la domanda, se abbiamo ottenuto tutto questo con finanziamenti scarsi per la ricerca, quali meraviglie saremmo stati in grado di ottenere con finanziamenti adeguati? La scarsità di finanziamenti ha come conseguenza l’incapacità di attirare, tranne rare eccezioni, i ricercatori residenti all’estero che esitano a venire in Italia. I risultati dei Grant dell’ERC sono chiarissimi. Solo la metà circa dei vincitori italiani dei Grant dell’European Research Council decide di utilizzare questi finanziamenti (di quasi due milioni di Euro per cinque anni) in Italia”.
“Non dobbiamo – ha ribadito – stupirci: non solo l’emigrazione italiana verso l’estero è circa uguale in numerosità all’immigrazione dall’estero verso l’Italia, ma essa coinvolge in particolare giovani laureati o dottorati che trovano negli altri paesi ambienti dove possono applicare al meglio le loro competenze che hanno potuto sviluppare grazie all’alta qualità della scuola e delle università italiane. Un programma di Radio Rai si chiama “Non è un Paese per giovani”. Certamente l’Italia non è un paese accogliente per i giovani ricercatori: le statistiche sono chiare”.
Attualmente la tendenza si è invertita, “però – ha sottolineato il Premio Nobel – restano nubi per quanto riguarda il futuro. Il piano Amaldi-Maiani prevedeva che usciti dal PNRR i finanziamenti annui per la ricerca italiana sarebbero dovuti essere di cinque miliardi superiori ai livelli attuali. In questo modo avremmo raggiunto fra cinque anni la Francia di adesso. Il PNRR investe una grande quantità di risorse nella ricerca, ma cosa succederà quando finirà il PNRR e l’Italia dovrà restituire i prestiti? Quante saranno le risorse da destinare alla ricerca dopo la fine del PNRR?
Avere una risposta a queste domande è fondamentale per attirare in Italia i ricercatori, di qualsiasi nazionalità, che attualmente stanno all’estero e i giovani che non hanno ancora deciso dove stabilirsi. La regolarità delle fonti di finanziamento è cruciale per la ricerca. C’è una profonda necessità di avere un piano che stabilisca i finanziamenti minimi assicurati per la ricerca per i prossimi, cinque-sette anni in maniera che si sappia che anche da noi si possono fare progetti a lunga scadenza”.
Una proposta concreta molto dettagliata è il Piano quinquennale 2023-2027 per la Ricerca Pubblica firmato da Ugo Amaldi, Luigi Ambrosio, Luciano Maiani e Angela Santoni che “prevedeva – ha spiegato Parisi – un aumento graduale dei fondi per la ricerca pubblica in maniera di arrivare nel 2027 a un finanziamento simile a quello della Francia. Sfortunatamente non si sono fatti passi in questa direzione nell’ultima Finanziaria presentata dal Governo.
Bisogna assolutamente capire che il futuro dei paesi avanzati, e anche dell’Italia, si gioca su Scienza e Ricerca. Non finanziare adeguatamente la ricerca è come mangiarsi le sementi invece di seminarle: in questo modo si distrugge il futuro delle nuove generazioni.
Servono cambiamenti radicali che si possono ottenere a livello Europeo scorporando gli investimenti statali in Ricerca e Sviluppo dal calcolo del deficit, evitando che la necessità di limitare le spese possa bloccare gravemente lo sviluppo scientifico e tecnologico dei paese. Una revisione del patto di Stabilità Europeo con lo scorporo di questi investimenti permettere un deciso cambiamento di rotta al livello europeo e ci permetterebbe di raggiungere gli obiettivi fissati a Lisbona nel 2000 e di arrivare in tutti gli stati ad una economia fondata sulla conoscenza”. Al termine del suo intervento Parisi ha parlato anche della scuola. “Penso – ha detto – che la funzione primaria della scuola sia preparare dei cittadini che possano prendere decisioni consapevoli; per questo è essenziale che ci sia anche una consistente formazione scientifica. L’influenza della scienza e della tecnologia sulla vita di tutti i giorni diventa sempre più importante, con profonde implicazioni nelle scelte politiche e sociali, per esempio per il COVID, i cambiamenti climatici, l’esaurimento delle risorse fossili. Per per una cittadinanza consapevole è necessaria la capacità di capire le informazioni che riguardano questi argomenti e che spesso sono disponibile in forma di numeri. Le statistiche sono molto utili, ma sfortunatamente non è facile leggerle correttamente.
La comprensione delle materie STEM è fondamentale per fidarsi della scienza. Viviamo una decrescita della fiducia della scienza, proprio in un momento in cui la scienza è necessaria per risolvere le crisi che ci minacciano. Questa tendenza può essere cambiata proprio tramite l’insegnamento delle materie STEM, ma fatto in maniera adeguata, ristrutturando i programmi e coinvolgendo attivamente gli alunni”.(30Science.com)
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Parisi (Lincei) “nonostante successi CNR e tutta la ricerca è sottofinanziato”
(18 Novembre 2023)
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