Roma – Frammenti di rifiuti plastici, fibre derivanti dal lavaggio di indumenti, residui di imballaggi. Plastiche e microplastiche hanno invaso laghi e bacini idrici artificiali su scala globale. L’inquinamento causato da questi detriti non risparmia neppure i luoghi più remoti, dove l’impatto dell’uomo è minimo. Inoltre, per la prima volta emerge che in alcuni casi le concentrazioni di plastica presenti negli ambienti d’acqua dolce sono più elevate di quelle rinvenute nelle isole di plastica oceaniche, le cosiddette “Garbage patches”.
A fare luce sui fattori che causano questa contaminazione è lo studio guidato dalla giovane ricercatrice Veronica Nava, assegnista del dipartimento di Scienze dell’ambiente e della terra dell’Università di Milano-Bicocca, sotto la supervisione della professoressa Barbara Leoni, coordinatrice del gruppo di ricerca di Ecologia e gestione delle acque interne che nello stesso dipartimento si occupa di laghi e fiumi. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista scientifica Nature col titolo “Plastic debris in lakes and reservoirs” (DOI:10.1038/s41586-023-06168-4).
- Didascalia: Frammenti di plastica più grandi trovati in campioni d’acqua di laghi Credito: Veronica Nava
- Didascalia: Filtri che mostrano frammenti di plastica visibili Credito: Veronica Nava
- Didascalia: Veronica Nava e Barbara Leoni durante il campionamento. Credito: Veronica Nava
- Immagine 6 Didascalia: Lenze aggrovigliate e spezzate da coralli dendrofillidi a 70 m di profondità a Capo Verde. Credito: Luiz Rocha
- Didascalia: Sacchetto di plastica impigliato su un corallo nelle Filippine a circa 10 m di profondità. I rami di corallo a contatto con la plastica sono bianchi, a indicare che sono morti o stanno morendo. Credito: Luiz Rocha
- Immagine 4 Didascalia: Questo riccio di fuoco ( Asthenosoma varium ) è appeso a una lenza mentre si mimetizza con un pezzo di un sacchetto di plastica blu a circa 130 m di profondità nelle Filippine. Questi ricci di solito raccolgono fili di alghe o piccoli pezzi di macerie per mimetizzarsi con il fondo, ma questo ha raccolto un pezzo di plastica. Credito: Luiz Rocha
- Didascalia: Questo corallo Acropora (parte di un gruppo con le specie più sensibili alle temperature più elevate) è completamente coperto da una rete da pesca, cosa che ne sta compromettendo la crescita. Foto scattata nelle Filippine a circa 15m di profondità. Credito: Luiz Rocha
- Didascalia: Grande pezzo di palangaro a 80 m di profondità in una delle isole più remote del mondo: l’arcipelago di St. Paul, al largo del Brasile. Abbiamo trovato plastica ovunque, anche nei luoghi più remoti che abbiamo campionato. Credito: Luiz Rocha
- Didascalia: Fascio di corda in nylon (un tipo di plastica) che fa parte di una linea di ancoraggio a 100 m di profondità a Palau. Le corde di nylon sono costose e di solito vengono rimosse da scogliere poco profonde, ma poiché questo pezzo è rimasto impigliato così in profondità, è stato tagliato e lasciato indietro, causando potenzialmente danni fisici alla barriera corallina per molti anni. Credito: Luiz Rocha
Il progetto ha coinvolto 79 ricercatori appartenenti al network internazionale Global Lake Ecological Observatory Network (GLEON), attivo nella ricerca scientifica su scala globale su processi e fenomeni che avvengono negli ambienti di acqua dolce.
Grazie a questo gruppo di scienziati è stato possibile prelevare campioni di acqua superficiale, usando dei retini da plancton, da 38 laghi collocati in 23 diversi Paesi, distribuiti in 6 continenti, rappresentativi di diverse condizioni ambientali.
I campioni prelevati sono poi arrivati all’Università di Milano-Bicocca, dove sono stati analizzati grazie alla strumentazione tecnologicamente avanzata messa a disposizione dalla rete interdipartimentale di spettroscopie di ateneo.
Fiore all’occhiello di questa dotazione, la micro-spettroscopia Raman (Spettrometro Raman Horiba Jobin Yvon LabRAM HR Evolution), presente nel laboratorio guidato dalla professoressa Maria Luce Frezzotti, che con estrema accuratezza è stata in grado di confermare la composizione polimerica delle microplastiche, evidenziando la presenza specialmente di poliestere, polipropilene e polietilene.
Tra i laghi in cui è stata evidenziata la maggior contaminazione da detriti di plastica, si trovano alcune fra le principali fonti d’acqua potabile per le popolazioni locali come i laghi Maggiore (CH-IT), Lugano (CH-IT), Tahoe (USA) e Neagh (UK), fondamentali inoltre per la loro centralità nelle rispettive economie ricreative.
Oltre ad impattare negativamente sull’uso potabile delle acque, l’inquinamento da plastica ha effetti dannosi sugli organismi acquatici e sul funzionamento dell’ecosistema.
“La plastica che si accumula sulla superficie dei sistemi acquatici – spiega Veronica Nava – può favorire il rilascio di metano e altri gas serra. Le materie plastiche possono arrivare oltre l’idrosfera e interagire con l’atmosfera, la biosfera e la litosfera, influenzando potenzialmente i cicli biogeochimici, ossia la circolazione tra i vari comparti della terra degli elementi chimici che passano dalla materia vivente a quella inorganica grazie a trasformazioni e reazioni chimiche, attraverso meccanismi che devono essere ancora compresi e che richiedono una valutazione olistica dell’inquinamento da plastica nei sistemi lentici”.
Data la concentrazione relativamente alta di microplastiche nei laghi e nei bacini idrici di grandi dimensioni, questi ambienti possono essere considerati “sentinelle dell’inquinamento” in quanto agiscono come collettori e integratori di diverse fonti di plastica provenienti dai bacini idrici e dall’atmosfera.
“Inoltre questi ambienti possono trattenere, modificare e trasportare i detriti plastici attraverso i bacini idrici fino agli oceani. Questi risultati – conclude Barbara Leoni – dimostrano la portata globale dell’inquinamento da plastica: nessun lago, neppure quelli più lontani dall’attività antropiche, può essere considerato realmente incontaminato: questo deve spingerci a rivedere le strategie di riduzione dell’inquinamento e i processi di gestione dei rifiuti”. (AGI)