(30Science.com) – Roma, 12 gen. – La nuova tecnologia della società di biotecnologie di San Diego che ieri ha annunciato di essere riuscita a prolungare la vita di alcune cavie grazie a una iniezione di staminali, è ” interessanti ma devono essere confermati da ulteriori studi e soprattutto devono essere valutati tutte le modificazioni epigenetiche del DNA”. Lo ha spiegato a 30Science.com Giuseppe Novelli, genetista dell’Università di Tor Vergata. “L’invecchiamento – ha spiegato – è inteso come perdita di funzioni del corpo accompagnata da una degenerazione generale delle cellule e dei tessuti e dall’insorgenza di malattie neurogenerative, cardiovascolari e tumorali.
È indiscutibile che il genotipo (DNA) determina la variazione nella lunghezza massima della vita media tra le specie: il nematode C. elegans, vive meno di un mese, mentre le tartarughe giganti possono vivere centinaia di anni. L’invecchiamento è oggi considerato un processo multifattoriale complesso, concetto che ha sostituito le precedenti teorie “monofattoriali” e certamente irreverisibile perché intrinseco nel processo biologico di crescita. A tale fenomeno contribuiscono fattori ambientali (estrinseci) e stocastici (indeterminati), oltre a intrinseci determinanti genetici ed epigenetici. Progressi significativi sono stati fatti usando organismi modello, quale il nematode C. elegans, il moscerino della frutta Drosophila melanogaster e i topi, e studi di associazione caso-controllo, centenari e gemelli monozigoti e dizigotici per delineare i geni di specifici pathways biochimici coinvolti nell’invecchiamento e per identificare, in ultima analisi, strategie per interventi terapeutici negli uomini”.
“Nel 2006 ricorda Novelli – un gruppo di ricercatori giapponesi coordinati da Shinya Yamanaka (premio Nobel per la Medicina nel 2012), sono riusciti a rigenerare cellule della pelle di topi introducendo 4 vettori virali contenenti quattro geni umani Oct-3/4 (Pouf51), Sox2, Klf4 e c-Myc, riuscendo ad ottenere colonie di cellule molto simili se non identiche a cellule staminali embrionali come quelle ottenute dalle blastocisti. Questo risultato straordinario dimostrava che anche le cellule specializzate adulte erano in grado di essere “riprogrammate“. Questa tecnologia viene utilizzata in molti laboratori di genetica, compreso il nostro, per ottenere cellule riprogrammate e studiarle in provetta”.
“I ricercatori di questa azienda biotecnologica specializzata in studi sull’invecchiamento – ha aggiunto – ha applicato questa tecnologia direttamente su topi di 124-settimane (corrispondenti a circa ~77 anni umani) e documentato un allungamento della vita media dei topi trattati rispetto ai controlli non trattati osservando un miglioramento significativo della fragilità generale degli animali e, soprattutto, registrando significative variazioni di inversione di età di biomarcatori che si accumulano durante l’invecchiamento, mentre nei topi trattati regredivano! Questo di fatto significa che i processi biologici che si associano di norma all’invecchiamento, ritornavano ad uno stato più giovane e potenzialmente più sano. I risultati hanno importanti implicazioni per lo sviluppo di interventi di riprogrammazione parziale per invertire le malattie associate all’età negli anziani”.
“Nel loro complesso – ha concluso Novelli – questi risultati sono interessanti ma devono essere confermati da ulteriori studi e soprattutto devono essere valutati tutte le modificazioni epigenetiche del DNA (ovvero modificazioni chimiche del DNA di queste cellule) e la possibilità di indurre tumori. Infatti è noto che in provetta questa tecnologia comporta errori nella metilazione del DNA a conferma che il processo di ringiovanimento è ancora imperfetto. Pertanto saranno necessari studi di monitoraggio accurati e approfonditi su animali di taglia più grande e soprattutto sarà opportuno valutare la sicurezza e l’efficacia di questa tecnologia ai fini del ringiovanimento parziale”.(30Science.com)