(30Science.com) – Roma, 10 nov. – Le acque del Tevere, e anche di altri fiumi del centro Italia (il Merse e l’Ombrone), tornano ad ospitare i castori. Per trovarli bisogna risalire fino quasi alle sue sorgenti, nel tratto che scorre in Umbria dove l’acqua è più pulita e l’ambiente circostante è più integro e quindi più adatto per ospitare questo prezioso roditore che ha un rapporto molto complesso con l’ambiente che lo circonda.
“Il castoro europeo – spiega Emiliano Mori, ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche e coordinatore del Progetto Rivers with Beavers sostenuto dal Beaver Trust inglese – è stato presente in Italia fino alla fine del 1500, come documentato dalla documentazione fossile. Sostanzialmente, si è assistito a una rarefazione della specie verso le regioni settentrionali a partire circa dall’inizio dl medioevo, a causa della caccia per la pelliccia, la carne e il castoreum”. Si perchè del castoro si sfruttano anche le secrezioni di alcune ghiandole per usi cosmetici e come additivi alimentari.
“Questo trend negativo – ha continuoto Mori – era stato riscontrato un po’ in tutta l’Eurasia, confinando il castoro a pochi rifugi in aree protette. Attorno al 2015, in seguito a massivi eventi di reintroduzione in tutta Europa, il castoro aveva riconquistato gran parte del suo areale nativo, escludendo la parte più occidentale della penisola iberica, l’Italia e la porzione meridionale della penisola balcanica. Alcuni rilasci illegali e legali hanno riportato il castoro anche in Spagna, Belgio, Austria, Svizzera e Regno Unito”.
A partire dal 2018 i primi avvistamenti anche in Italia.
“Prima – racconta Mori – è stato avvistato un individuo nella zona di Tarvisio (Udine) e poi uno in Alto Adige“. Il castoro ha iniziato a ricolonizzare l’Italia del Nord-Est, a partire da popolazioni reintrodotte legittimamente in Austria. In due recenti lavori, Pucci et al. (2021) e Mori et al. (2021) hanno riportato la presenza del castoro eurasiatico anche in Toscana e in Umbria (Centro Italia) confermata mediante camera trapping, analisi molecolari (un frammento del gene mitocondriale del citocromo b) e microstruttura del capello, dopo la rilevazione di inequivocabili segni di presenza (es. tronchi e feci rosicchiati).
“Questi record – commenta Mori – si trovano a circa 550 km a sud dell’areale noto di questa specie, suggerendo quindi che gli individui presenti in Toscana e Umbria potrebbero essere il risultato di una reintroduzione non ufficiale“. Non sono disponibili evidenze attendibili sul numero di castori ruspanti nell’Italia centrale, “ma confidiamo – spiega il ricercatore che ha appena concluso una campgna di monitoraggio su quei territori – che si tratti di almeno cinque-dieci individui in almeno due aree, una nel bacino dell’Ombrone-Merse e l’altra nel Bacino del Tevere. La riproduzione è stata confermata in tutti i fiumi, sia in Toscana sia in Umbria, e sarebbe avvenuta già a partire dal 2020. Prima di qualsiasi azione di gestione e conservazione, sono necessari ulteriori dati riguardanti la reale distribuzione, l’origine potenziale (i.e. genetica) e gli effetti sugli ecosistemi. Per ora, è stato confermato che si tratta di animali originari del Centro Europa e dunque strettamente imparentati con quelli Austriaci e Svizzeri, ben lontani da quelli presenti attualmente negli zoo in Italia. Inoltre, si tratta di una specie notturna, ampiamente apprezzata dal grande pubblico in Centro Italia in quanto carismatica, che sta spingendo le nutrie con cui coesiste a diventare sempre più diurne. Le dighe e i lodge rilevati sembrano favorire e incrementare la biodiversità locale, in linea con tutti i lavori giù pubblicati in centro Europa sulla specie. In particolare, sembrano favorire specie endemiche italiane come l’arvicola d’acqua italica e specie di interesse conservazionistico come il tarabuso e i coleotteri saproxilici. Non è pertanto stato rilevato nessun impatto negativo da parte di questa specie, sebbene si tratti di un rilascio non ufficializzato da nessun ente pubblico”. (30Science.com)