(30Science.com) – Roma, 7 ott. – Che quella sepoltura ischitana, quella della cosiddetta Coppa di Nestore, fosse multipla e non relativa a un solo individuo era stato ipotizzato, sin dal 2004 da un importante archeologo italiano, Valentino Nizzo, attuale Direttore del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, senza far ricorso ad alcuna analisi antropologica dei resti ma solo sulla base di un attento riesame dei dati di scavo editi nel 1993.
“Nel 2004 – ha scritto Nizzo in un lungo post sul suo profilo Facebook – proposi una nuova analisi tipologico-stratigrafica della necropoli del più antico stanziamento greco di Occidente, Pithekoussai (Lacco Ameno – Ischia). Si trattava dello sviluppo di un lavoro che avevo per la prima volta discusso in un convegno dedicato alla cronologia della prima età del Ferro l’anno precedente, a Roma, insieme alla mia professoressa Gilda Bartoloni. Il lavoro era molto ampio, nonostante avessi cercato di comprimerlo per farlo entrare in un articolo, come mi era stato richiesto. Dopo alcuni anni di silenzio e un referaggio anonimo durato un po’ più del dovuto, il lavoro apparve, grazie al finanziamento del CNRS francese, come monografia in una collana prestigiosissima del Centre Jean Bérard. Il titolo, Ritorno ad Ischia, era stato suggerito da chi più di tutti ne aveva sostenuto l’importanza, Michel Gras. La pubblicazione è molto tecnica e complessa. Oggi si trova disponibile anche on line gratuitamente“.
“Il capitolo più controverso e all’epoca discusso – spiega Nizzo – riguardava la mia proposta di reinterpretazione della tomba 168, celebre per la presenza della coppa cosiddetta di Nestore, con la più antica iscrizione allusiva all’Iliade che si sia conservata finora, risalente al 720 secondo la cronologia da me seguita“. Si tratta della stessa tomba sulla quale nei giorni scorsi sono stati resi noti i risultati di un nuovo studio bioarcheologico in cui si dimostra la presenza di altri individui cremati associati a resti di animali.
“Come tutte le incinerazioni della necropoli – spiega Nizzo – le ceneri e i resti del corredo combusto raccolti sulla pira venivano deposti, a volte senza procedere ad alcuno scavo, direttamente sul terreno o in piccoli incavi naturali. La lente di terra che ne risultava poteva essere oggetto di pratiche rituali, ad esempio libagioni con vino effettuate con vasi che venivano poi lasciati sul posto. La lente veniva quindi cinta e ricoperta con un tumulo di pietre e ben presto altre cremazioni e altre inumazioni si andavano a sovrapporre, spesso in virtù di legami di tipo familiare. In base all’analisi stratigrafica e tipologica della necropoli, avevo presentato una accurata discussione del contesto che arrivava a proporre che non fosse unitario come avevano sostenuto nella sua edizione definitiva Buchner e Ridgway nel 1993, ma fosse in realtà pertinente ad almeno due sepolture. I dettagli della questione sono molto complessi e solo chi è davvero interessato può trovarli tutti nel capitolo relativo della mia monografia del 2007“. La pubblicazione e soprattutto la proposta di interpretazione dei dati non venne accolta positivamente, almeno da una parte della comunità scientifica.
“Se – continua Nizzo – il lavoro nel complesso era stato apprezzato da molti studiosi a partire dal grande David Ridgway che mi aveva dedicato una commovente recensione – perché forniva una intelaiatura cronologica priva di precedenti, la mia proposta di reinterpretazione della tomba 168 aveva fatto storcere il naso ad altri. Da un lato a chi riteneva un oltraggio che io potessi mettere in discussione le capacità interpretative di Buchner, dall’altro a chi era poco propenso a rivedere l’unicità di un contesto che aveva dell’eccezionale“.
“La mia proposta infatti – continua l’archeologo – lo scomponeva in almeno due cremazioni distinte, con rispettivi corredi, espungendo dal contesto alcuni dei vasi più eccezionali, tra cui ben 4 crateri, uno dei quali inscritto, da me ritenuti il residuo della ceramica ritualmente frammentata presso un ustrino che doveva sorgere nella stessa area poi occupata della sepoltura. Questa coincidenza, insieme alle innumerevoli altre sepolture che si erano andate nel tempo addensando nell’area, aveva reso difficile l’interpretazione del contesto, rinvenuto nei primi anni di scavo della necropoli, quando Buchner non aveva ancora maturato l’esperienza che avrebbe caratterizzato nel tempo a venire la sua straordinaria impresa di scavo pithecusana. Eppure nella prima edizione del contesto Buchner aveva avanzato l’ipotesi che non si trattasse di un contesto unitario, per poi abbandonarla quasi subito, anche alla luce delle analisi osteologiche che sembravano escludere la presenza di più individui“.
“Dopo la pubblicazione del 2007 – continua il racconto del direttore del Museo di Villa Giulia – sono tornato in più occasioni, anche divulgative, sul tema, sostenendo sempre la mia interpretazione e aggiungendo ulteriori elementi per suffragarla“. Poi un’altra scoperta, in un sito diverso, aggiunge ulteriori elementi che sembrano dare ulteriore consistenza alla lettura proposta da Nizzo in merito alla sepoltura multipla.
“Nel 2012 – racconta Valentino Nizzo – veniva pubblicata una pira funeraria scavata a Teos un decennio prima e caratterizzata da crateri identici a quelli della tomba 168 e da una serie di coppe come quella di Nestore (ma prive di iscrizioni), oggetto di frammentazione nell’area dell’ustrino. Esattamente quello che immaginavo fosse accaduto nell’area della tomba 168, come ho avuto modo di esporre da ultimo anche in un convegno ischitano del 2018 attualmente in corso di stampa, ricostruendo l’ipotetica estensione dell’area dell’ustrino“.
“In tutti questi anni – chiarisce Nizzo – nessuno dei (pochi) critici è entrato mai nel merito delle mie argomentazioni e così per lungo tempo la mia tesi è stata l’unica a opporsi alla vulgata. Fino ad oggi e a questo splendido articolo nel quale un equipe multidisciplinare capeggiata da una giovane e brillante antropologa Melania Gigante non ha finalmente dimostrato, grazie a un’accurata analisi dei resti antropologici attribuiti alla sepoltura, che non si tratta di un contesto unitario ma che è composto da almeno tre individui distinti. A quale di essi attribuire la coppa di Nestore è difficile dirlo, così come è difficile capire le dinamiche tafonomiche di questi resti visto che è possibile che alcuni di essi appartenessero alle diverse fasi in cui fu in uso la pira e non ad altrettante sepolture presenti nell’area della tomba 168“.
“L’articolo, cita le ricerche di Nizzo in una appendice di approfondimento e non nel contributo principale – nota con rammarico Nizzo – ma per fortuna sono piuttosto note a chi si è occupato anche superficialmente di Pithecusa. Evidentemente non si riteneva necessario citarle. Ciò non toglie la grande soddisfazione di vedere dopo anni confermata una tesi sostenuta all’inizio del mio percorso scientifico, quando avevo appena 28 anni e le mie ipotesi si fondavano esclusivamente sull’evidenza dei dati raccolti magistralmente da Buchner. Dati così chiari, oggettivi e inequivocabili da avermi dato il coraggio al mio esordio di rivedere l’ipotesi di un maestro la cui onestà scientifica lo avrebbe certamente portato ad apprezzare ed accogliere questa ed altre revisioni“. (30Science.com)