(30Science.com) – Roma, – 20 set. – Bisogna trovare un modo per rendere la pesca più sostenibile ed evitare così effetti a cascata sull’intero ecosistema marino come per esempio quello costiero. Se ne discuterà a partire oggi, lunedì 20 settembre 2021 nel corso del workshop “Toward multi-species management of sea urchin in the Mediterranean Sea: between sustainable fishing and marine forest conservation”, promosso dalla Stazione Zoologica Anton Dohrn – Istituto Nazionale di Biologia Ecologia e Biotecnologie Marine. I lavori, che coinvolgono i più autorevoli esperti internazionali e manager, dureranno fino a giovedì 24 settembre. La pesca è in cima alla lista delle minacce per la conservazione marina, dagli ecosistemi pelagici a quelli bentonici.
La sovra-pesca (overfishing) ha infatti portato importanti cambiamenti nelle comunità marine oltre che a un “declassamento trofico” dell’attività stessa, vale a dire un’intensificazione della pesca di organismi invertebrati, tra cui anche i ricci di mare. Una conseguenza della pesca dei predatori dei ricci di mare (saraghi e orate principalmente per pesca costiera artigianale) è il cosiddetto “effetto a cascata trofica” che porta a proliferazioni incontrollate di questi erbivori (riccio di mare Paracentrotus lividus).
Senza controllo da parte dei predatori, i ricci pascolano eccessivamente le foreste marine creando barrens: grandi aree improduttive di roccia nuda che ospitano una biodiversità molto bassa. La perdita delle foreste marine ha conseguenze ecologiche negative per molteplici specie, compresi i pesci commercialmente importanti che usano questi habitat per la crescita, la riproduzione, il cibo o il riparo, causando quindi un declino della biodiversità e del funzionamento del sistema, e ovviamente dei servizi ecosistemici che esso fornisce all’uomo. Paradossalmente, la pesca del Paracentotus lividus, specie di riccio di mare commestibile, è spesso percepita come un mitigatore del vero problema dell’overfishing (e cioè la mancaza di pesci). La raccolta potrebbe sostituire l’effetto dei predatori perduti e cioè di controllo dell’abbondanza di questi erbivori.
Tuttavia, la rimozione sistematica degli individui di dimensioni commerciali colpisce i principali riproduttori delle popolazioni determinandone spesso il collasso. Inoltre, la raccolta dei ricci di mare potrebbe causare effetti sinergici negativi con la sovra-pesca, poiché i giovani individui di medie dimensioni, quelli più piccoli e vulnerabili ai pesci predatori, non sono raccolti e sono liberi di proliferare. Nasce quindi la necessità di gestire saggiamente gli ecosistemi costieri sia per preservare le foreste marine per il loro valore ecologico, sia per mantenere l’abbondanza e la struttura di taglia delle popolazioni di ricci di mare, per garantire la stabilità della popolazione e la redditività commerciale dei ricci e delle altre specie di pesci che li predano.
“I lavori – spiega Simone Farina, ricercatore della SZN – si concentreranno sullo sviluppo di una visione olistica della pesca rivolta sia ai ricci di mare che ai loro predatori (sparidi), identificando i potenziali limiti e gli attuali ostacoli gestionali, e proponendo nuovi approcci per i sistemi mediterranei, imparando dall’esperienza sviluppata in diverse regioni del bacino occidentale, per esempio Sardegna, Catalogna, Sicilia, Provenza. Le iniziative di ricerca sviluppate all’interno del Workshop saranno guidate dalla conoscenza di stakeholder, quali per esempio gestori dei dipartimenti di pesca, direttori di Aree Marine Protette, in termini di fattibilità e desiderabilità dei risultati. L’incontro si porrà come un caso di collaborazione manager-scienziati (ecologi e modellisti) nelle prime fasi dei piani di gestione”. Il trade-off è dedicato al contesto mediterraneo, poiché sia i pesci predatori (principalmente i saraghi Diplodus spp. e Spaurus aurata) che il riccio di mare Paracentrotus lividus sono specie bersaglio di grande valore per la pesca artigianale. Inoltre, le condizioni ambientali locali e regionali (per esempio apporto di nutrienti) possono influenzare queste dinamiche, evidenziando la necessità di un approccio olistico alla gestione della pesca.(30Science.com)