Roma – Il primo dispositivo indossabile a supporto della diagnosi dei disturbi del sonno in telemedicina lo ha sviluppato una startup fondata da un professore dell’Università di Pisa, tra gli ospiti dell’evento internazionale Converging Skills, a giugno a Pisa.
Dormi, e la diagnosi si fa da sé. Si chiama proprio così, “Dormi”, il primo dispositivo indossabile che consente il monitoraggio continuo dei disturbi del sonno, validato dal punto di vista scientifico e capace di fornire al medico, a distanza, dati clinici attendibili e analizzabili con algoritmi certificati. Lo ha sviluppato Ugo Faraguna, professore di fisiologia all’Università di Pisa, che spiega: “è un normale braccialetto sensorizzato, ma l’abbiamo modificato per offrire al medico uno strumento di diagnosi”. L’uovo di Colombo in tempo di digitalizzazione, cioè quello che consente di passare dalla telesalute fai-da-te, per cui ormai chiunque di noi può giocherellare con uno smartphone o un orologino, alla telemedicina vera e propria, nelle mani di un medico capace di fare diagnosi e impostare terapie. Ma in un ambito poco esplorato, quello del sonno.
“Monitorare i disturbi del sonno è difficile, perché richiede (o meglio, richiedeva, fino a ieri) strumenti invasivi e tempo per fare rilievi ripetuti”, prosegue Faraguna. “Però è cruciale, perché la qualità del sonno influenza la salute ed è uno dei principali fattori di rischio per lo sviluppo di malattie neurodegenerative come demenze e malattia di Parkinson”. Così, mentre tutti imparavamo a misurarci la pressione arteriosa e a considerarla buona quanto più vicina ai valori aurei 120/80, sul nostro sonno siamo ancora all’aneddoto o poco più. E anche i medici sono spesso impreparati a parlare di sonno e a considerare la risoluzione dei disturbi notturni come un fondamentale atto di prevenzione.
Così Faraguna, un lungo trascorso a Madison a studiare la fisiologia del sonno con Giulio Tononi (tra i massimi esperti mondiali in materia), ha intuito il salto di qualità racchiuso nei dispositivi wearable e ha fondato la startup Sleepacta. All’inizio i finanziamenti sono arrivati da SAMBA, un piccolo incubatore locale, e in parte da un crowdfunding, poi è arrivato Red Lions, un fondo di investimento di area pisana. Oggi i braccialetti diagnostici di Sleepacta si cominciano a diffondere sul mercato e allargano di giorno in giorno la loro clientela tra centri medici, ospedali, reti di farmacie. “Il nostro obiettivo è aumentare la consapevolezza dell’importanza di un buon sonno per la salute mentale, e per la salute in generale”, spiega la CEO di Sleepacta, Hannah Teichmann Prisco. Cioè, chiosa Faraguna, “Sleepacta vuole fare quello che lo sfigmomanometro ha fatto con l’ipertensione”.
Ovviamente tutto questo dà anche garanzie in termini di privacy: “i dati fisiologici e sanitari appartengono alla persona, non a chi vende i braccialetti. E la persona può autorizzare il medico a leggerli, come per ogni visita. Noi poi possiamo anonimizzarli”. Anche perché, in pratica, un Dormi te lo metti al polso e te lo levi una settimana dopo, e non devi togliertelo nemmeno per fare la doccia. Intanto lui raccoglie una serie di dati come frequenza cardiaca, saturazione arteriosa, posizione, movimento. “Tutti questi parametri alimentano una rete neurale che si avvale degli stessi strumenti di artificial intelligence che stanno invadendo la rete (ChatGPT e analoghi). Queste reti imparano ad analizzare i nostri dati sanitari e generano un referto medicale sull’architettura del nostro sonno, e stimano il rischio di avere patologie del sonno come le apnee notturne. Si tratta di una specie di holter del sonno, non invasivo, che ti agganci al polso”, spiega ancora Faraguna.
Ugo Faraguna sarà tra gli speaker dell’evento Converging Skills: una cinque giorni di confronto pubblico su trasferimento tecnologico e open innovation organizzato dall’Università di Pisa che si terrà a giugno nella storica Aula magna nel palazzo della Sapienza dell’ateneo pisano. Cinquanta relatori in cinque giorni: tra loro startupper, imprenditori, investitori, top manager e ovviamente anche ricercatori e professori. Obiettivo: confrontare le migliori pratiche internazionali di trasferimento tecnologico e open innovation e delineare metodi e percorsi di avvicinamento tra accademia e mondo produttivo. (30Science.com)