Gianmarco Pondrano d'Altavilla

Accademia dei Lincei, urgente una legge sul fine vita, pronti a collaborare con la politica

(25 Luglio 2025)

Roma – L’Accademia Nazionale dei Lincei ha deciso di intervenire nel dibattito sulla morte volontaria medicalmente assistita, esortando i legislatori ad agire per dare al Paese una legge su questo tema di scottante attualità e allo stesso tempo fornendo delle riflessioni di partenza per un confronto che possa vedere assieme decisori politici ed esperti. A tal riguardo L’Accademia ha reso pubblico un documento redatto dalla sua Commissione Bioetica dal titolo “Questioni bioetiche in materia di morte volontaria medicalmente assistita”. Questo testo, frutto di un’intensa riflessione e di un dialogo interdisciplinare affronta tutti i punti più spinosi della questione del fine vita cercando di fare il punto sui dibattiti tecnici con chiarezza e rigore. Quanto al diritto a non farsi curare e alle cure palliative, il documento ribadisce il dirittodi rifiutare qualsiasi trattamento sanitario, inclusi idratazione e alimentazione forzate, fino alle estreme conseguenze. Si sottolinea, tuttavia, che questo non equivale a una richiesta di morte, che è cosa giuridicamente e logicamente distinta (e, appunto, tuttora sfornita di compiuta regolazione legislativa). Viene poi posta con forza l’attenzione sulle cure palliative, considerate essenziali per garantire una scelta davvero libera e per alleviare le sofferenze inutili. Per quel che riguarda il problema dell’effettiva volontà del paziente e dell’accesso alle procedure, il documento afferma che la questione della qualità del desiderio e della conseguente volontà del soggetto di terminare la propria vita è centrale. Si chiarisce la distinzione tra omicidio del consenziente e suicidio assistito, evidenziando l’esigenza di disciplinare entrambe le fattispecie. Perché una volontà sia considerata valida, sono richieste precise condizioni mediche (una patologia incurabile o inguaribile, o guaribile solo a prezzo di sofferenze intollerabili, o che comporti sofferenze fisiche o psicologiche insopportabili e dichiarate in modo inequivocabile) e condizioni giuridiche (una volontà autentica, non viziata da pressioni o condizionamenti esterni, il cui accertamento spetterebbe al giudice). Si evidenzia l’importanza di una più precisa definizione legislativa della capacità di intendere e di volere, la sua permanenza nel tempo e la sua attualità. Si propone poi una procedura rigorosa che veda il medico e il giudice come figure centrali. Il medico ha il dovere di informare il paziente su ogni aspetto del percorso e sulle alternative disponibili (specialmente le cure palliative), oltre ad accertare le condizioni cliniche. Spetta comunque al medico, quale unico soggetto legittimato alla valutazione clinica, di accertare le condizioni previste nella fattispecie normativa della morte volontaria medicalmente assistita, segnalando al giudice anche la misura massima del tempo in cui prendere la decisione. Al giudice, opportunamente formato e operante in sezioni specializzate, spetta l’accertamento finale delle condizioni previste dalla legge e una decisione da prendere nel più breve tempo possibile, data l’urgenza e la delicatezza della materia. Tuttavia il giudice – pur conservando l’autonomia di decisione implicata dalla sua indipendenza istituzionale – non puo’ prescindere dalle indicazioni del medico e dal confronto con il paziente. Si suggerisce che la gestione delle procedure sia riservata alle strutture sanitarie pubbliche e che il medico sia supportato da una struttura consultiva collegiale interna. Non si ritiene invece necessario il coinvolgimento dei comitati di bioetica, anche alla luce di quella “alleanza terapeutica” tra paziente e medico che, mediata dal giudice, appare sufficiente ad assicurare l’idoneo governo della fattispecie. Il documento si sofferma anche sulla spinosa questione dell’obiezione di coscienza, il cui riconoscimento – per i Lincei – dovrebbe essere pieno per i medici e il personale sanitario direttamente coinvolto. Per il personale amministrativo e per il giudice, invece, l’obiezione di coscienza dovrebbe essere esclusa, il primo essendo coinvolto in modo indiretto, e per ciò che concerne il giudice, in quanto il giudice è soggetto “solo” alla legge. Si auspica che il legislatore preveda modalità organizzative per assicurare la presenza di personale non obiettore su tutto il territorio nazionale. (30Science.com)

Gianmarco Pondrano d'Altavilla