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Ricostruito il genoma svizzero del virus dell’influenza del 1918

(14 Luglio 2025)

Roma – Ricercatori delle università di Basilea e Zurigo hanno utilizzato un campione storico della Collezione Medica dell’Università di Zurigo (UZH) per decodificare il genoma del virus responsabile della pandemia influenzale del 1918-1920 in Svizzera. Il materiale genetico del virus rivela che aveva già sviluppato adattamenti chiave all’uomo all’inizio di quella che sarebbe diventata la pandemia influenzale più mortale della storia. Le nuove epidemie virali rappresentano una sfida importante per la salute pubblica e la società. Comprendere come si evolvono i virus e imparare dalle pandemie passate è fondamentale per sviluppare contromisure mirate. La cosiddetta influenza spagnola del 1918-1920 è stata una delle pandemie più devastanti della storia, causando tra i 20 e i 100 milioni di vittime in tutto il mondo. Eppure, fino ad ora, si sapeva ancora poco su come quel virus influenzale sia mutato e si sia adattato nel corso della pandemia. Un team di ricerca internazionale guidato da Verena Schünemann, paleogenetista e professoressa di scienze archeologiche all’Università di Basilea (in precedenza all’Università di Zurigo), ha ora ricostruito il primo genoma svizzero del virus influenzale responsabile della pandemia del 1918-1920. Per il loro studio, i ricercatori hanno utilizzato un virus vecchio di oltre 100 anni, prelevato da un campione umido fissato in formalina nella Collezione Medica dell’Istituto di Medicina Evolutiva dell’UZH. Il virus proveniva da un paziente diciottenne di Zurigo, deceduto durante la prima ondata della pandemia in Svizzera e sottoposto ad autopsia nel luglio 1918.
“È la prima volta che abbiamo accesso a un genoma influenzale della pandemia svizzera del 1918-1920. Ciò apre nuove prospettive sulle dinamiche di adattamento del virus in Europa all’inizio della pandemia”, afferma Verena Schünemann, autrice precedente. Confrontando il genoma svizzero con i pochi genomi del virus influenzale precedentemente pubblicati da Germania e Nord America, i ricercatori sono stati in grado di dimostrare che il ceppo svizzero presentava già tre adattamenti chiave agli esseri umani, che sarebbero persistiti nella popolazione virale fino alla fine della pandemia.

Due di queste mutazioni hanno reso il virus più resistente a una componente antivirale del sistema immunitario umano, un’importante barriera contro la trasmissione dei virus dell’influenza aviaria dagli animali all’uomo. La terza mutazione riguardava una proteina nella membrana del virus che ne migliorava la capacità di legarsi ai recettori delle cellule umane, rendendolo più resiliente e infettivo.(30Science.com)

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