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Scoperta prima terapia che previene insufficienza renale cronica

(12 Giugno 2024)

Roma – Per la prima volta è stata identificata una terapia in grado di prevenire l’insufficienza renale acuta. A riuscirci è stato un gruppo internazionale di ricercatori coordinato da Giovanni Landoni, direttore del Centro di Ricerca Anestesia e Rianimazione dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e professore ordinario presso l’Università Vita-Salute San Raffaele, e da Alberto Zangrillo, primario dell’Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione Generale, Cardio-Toraco-Vascolare e dell’Area Unica di Terapia Intensiva Cardiologica e Cardiochirurgica, referente Direzionale Aree Cliniche dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, ordinario di Anestesia e Rianimazione alla Facoltà di Medicina e Chirurgia e prorettore per le attività cliniche istituzionali dell’Università Vita-Salute San Raffaele. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista New England Journal of Medicine. Sono oltre 300 milioni l’anno gli interventi chirurgici nel mondo, 1 milione eseguito con ausilio di bypass cardiopolmonare. Il corpo e gli organi dei pazienti che affrontano un intervento chirurgico sono sottoposti ad uno stress acuto e diversi studi affermano che a risentire dello stress operatorio sono soprattutto i reni, in quanto si riduce la perfusione renale ed aumenta il rischio di sviluppare insufficienza renale acuta (IRA), che può successivamente evolvere in malattia renale cronica. Fino ad oggi non è mai esistito un intervento preventivo specifico per l’insufficienza renale acuta oltre all’implementazione di misure di supporto. L’IRA, presente nel 10-15% di tutti i pazienti ospedalizzati nel mondo e nel 50% dei pazienti ricoverati in terapia intensiva, rappresenta una condizione critica con alta mortalità e morbilità. Uno studio ha infatti rilevato che il tasso di mortalità a 90 giorni nei pazienti critici con IRA può arrivare fino al 30-40%​ (BioMed Central)​, rendendo questo evento decisamente più mortale rispetto all’infarto del miocardio. Lo studio dimostra per la prima volta l’efficacia della somministrazione endovenosa di amminoacidi per prevenire la comparsa di IRA in seguito ad intervento chirurgico con bypass cardiopolmonare. Il lavoro, finanziato grazie alla vittoria di un Grant del Ministero della Salute italiano, ha visto la partecipazione di 3511 pazienti provenienti da 22 centri, tra i quali Italia, Croazia e Singapore e sarà presentato dal professor Giovanni Landoni e dalla dottoressa Martina Baiardo Redaelli il 12-14 giugno a Belfast, in occasione del Critical Care Reviews Meeting 2024, la conferenza scientifica che mette in evidenza i migliori studi clinici in terapia intensiva al mondo. I ricercatori hanno somministrato per via endovenosa la terapia di aminoacidi a un primo gruppo di 1759 pazienti adulti che venivano sottoposti ad intervento di chirurgia cardiaca con bypass cardiopolmonare e nei tre giorni successivi l’intervento; mentre ai restanti 1752 è stato somministrato un placebo. Hanno poi riscontrato che l’IRA si è verificata in 474 pazienti del gruppo che ha ricevuto il farmaco (26,9%) rispetto a 555 pazienti del gruppo che ha ricevuto il placebo (31,7%), registrando una diminuzione della probabilità di comparsa di IRA del 5%. “Abbiamo visto che, somministrando una soluzione di amminoacidi per via endovenosa dal momento immediatamente precedente all’operazione fino a tre giorni post-intervento, il rene è in grado di mantenere una buona perfusione ottimizzando l’ossigenazione renale e la filtrazione glomerulare diminuendo quindi di molto la probabilità che insorga un’IRA”, spiega Landoni. Dopo decenni in cui gli studi sugli aminoacidi si sono basati principalmente sul loro effetto nutrizionale oppure di innalzamento della temperatura corporea, la ricerca del San Raffaele apre la strada a nuovi utilizzi promettendo un aggiornamento delle linee guida e una rivoluzione in ambito clinico. “I dati che abbiamo raccolto con questo studio confermano che la terapia con gli aminoacidi . dice Zangrillo – è in grado di prevenire l’insufficienza renale acuta. Da oggi potremo studiare e forse applicare questi risultati non solo agli interventi chirurgici effettuati con bypass, ma anche a chi soffre di insufficienza cardiaca, a chi si sottopone a trapianto di rene, a chi ha un’insufficienza renale in corso, a pazienti settici e potrà essere usata anche per ridurre i danni da mezzi di contrasto”.(30science.com)

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