Roma – Le profondità del Mare di Weddell ospitano diverse comunità biotiche composte da spugne, coralli e innumerevoli altri organismi adattati all’ambiente freddo. Con il progredire dei cambiamenti climatici, questa regione polare potrebbe offrire un rifugio per organismi vegetali e animali che dipendono dal ghiaccio, dal krill alle foche di Weddell. Nell’ambito del nuovo progetto europeo “Weddell Sea Observatory of Biodiversity and ecosystem Change” (WOBEC) l’Istituto Alfred Wegener, in qualità di coordinatore di un consorzio di undici istituzioni europee e statunitensi, tra le quali il Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, getterà le basi per osservazioni sistematiche a lungo termine dei potenziali cambiamenti in questo ecosistema unico. Il progetto, che ha ottenuto un finanziamento di circa 1,9 milioni di euro e si baserà sulle più recenti scoperte scientifiche, svilupperà una strategia per monitorare i cambiamenti nel Mare di Weddell, una regione candidata come area marina protetta su proposta dell’UE e di altri Stati. La riunione di avvio del WOBEC si terrà a Bremerhaven dall’11 al 14 giugno. Il Mare di Weddell è il più grande mare dell’Oceano Meridionale ed è ricchissimo di biodiversità. Qui foche e pinguini imperatore partoriscono i loro piccoli, il krill si nutre di microalghe sotto le banchise attirando pesci, balene e uccelli marini. Sul fondo del mare si riproducono milioni di pesci-ghiaccio (“icefish”), pesci senza emoglobina, circondati da giardini sottomarini di spugne di vetro (“glass sponges”), anemoni e lumache di mare. Alcuni di questi luoghi raggiungono un livello di biodiversità paragonabile a quello delle barriere coralline tropicali. Undici istituti di otto Paesi si sono uniti nel progetto WOBEC e nei prossimi tre anni le ricercatrici e i ricercatori partecipanti determineranno lo stato della comunità biotica del Mare di Weddell, stabilendo uno scenario iniziale di riferimento per un monitoraggio a lungo termine dell’ecosistema nell’Oceano Meridionale in trasformazione. WOBEC è uno dei 33 progetti dell’importante programma dell’Unione Europea BiodivMon, sotto l’egida di Biodiversa+, il partenariato europeo per la biodiversità. Il progetto è partito ad aprile 2024 con una riunione di apertura a Tallinn, in Estonia. Ai partner del progetto è stato assegnato un budget di circa 1,9 milioni di euro di sostegno finanziario. Il team del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, sostenuto dal Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR) con un contributo di quasi 200 mila euro, è coordinato dalla prof.ssa Chiara Papetti e include la prof.ssa Isabella Moro, il dr. Alessandro Vezzi e i giovani ricercatori dr. Luca Schiavon, Alessia Prestanti e Federica Stranci. “Il Mare di Weddell costituisce un habitat in gran parte incontaminato e quindi estremamente prezioso. Non solo ha un alto valore estetico, ma è anche caratterizzato da una biodiversità unica ed è fonte di importanti servizi ecosistemici, come lo stoccaggio del carbonio nelle profondità marine attraverso le alghe che crescono sul ghiaccio e i resti di plancton che precipitano sul fondo – spiega il Dr. Hauke Flores, biologo marino dell’Istituto Alfred Wegener e coordinatore del progetto WOBEC –. Tuttavia, il cambiamento climatico si è diffuso da tempo nella regione polare meridionale: negli ultimi anni abbiamo assistito a un calo inaspettatamente rapido del ghiaccio marino.
Non sappiamo come, o se, gli organismi della regione possano adattarsi alle mutate condizioni ambientali. Per valutare questo aspetto, dobbiamo prima comprendere meglio lo stato attuale dell’ecosistema e iniziare con urgenza una raccolta sistematica di dati”. “Ci aspettiamo che i pesci antartici, per i loro adattamenti peculiari all’ambiente polare e per i loro cicli vitali strettamente connessi a quelli degli altri numerosi componenti della comunità marina antartica, possano fungere da indicatori dei cambiamenti nell’abbondanza e distribuzione della biodiversità nel Mare di Weddell” aggiunge Chiara Papetti che, con i suoi collaboratori, si occupa di studiare la connessione tra popolazioni di pesci antartici nell’Oceano Meridionale. Il progetto WOBEC si concentra sull’osservazione dei potenziali cambiamenti a lungo termine della biodiversità nel Mare di Weddell orientale. Sebbene Paesi come la Germania, la Norvegia e il Sudafrica conducano ricerche nella regione da decenni, mancano studi sistematici sul suo enorme ecosistema. Secondo Hauke Flores, attualmente esiste una lacuna considerevole nelle nostre conoscenze: per migliaia di chilometri a est e a ovest dell’area di studio di WOBEC non sono state effettuate osservazioni a lungo termine della biodiversità marina e «solo negli ultimi anni siamo stati in grado di cominciare a caratterizzare la vasta biodiversità dei pesci antartici in questa regione” aggiunge Chiara Papetti, Nell’ambito di WOBEC, l’Università di Rostock (Germania) coordinerà nel 2026 una spedizione con la nave rompighiaccio Polarstern che coprirà il Primo Meridiano e la regione ad est del Mare di Weddell e che prevede anche la partecipazione di Chiara Papetti. Durante la spedizione, circa 50 ricercatrici e ricercatori internazionali avranno l’obiettivo di esplorare la montagna sottomarina Maud Rise e proseguire le precedenti indagini sulle comunità biotiche bentoniche a Cape Norvegia, a ovest della stazione tedesca Neumayer III. Oltre a raccogliere nuovi dati preziosi sul campo, gli esperti scaveranno nei loro archivi e
renderanno disponibili risultati inediti e poco accessibili al pubblico fino ad ora. “Sulla base di dati storici e attuali, l’obiettivo di WOBEC è creare una strategia per il monitoraggio ambientale a lungo termine nel Mare di Weddell con l’ausilio di osservatori autonomi, telerilevamento satellitare e campionamento via nave” afferma Hauke Flores. “Da complementare con nuovi dati genetici e l’applicazione di tecniche non invasive come
l’analisi del DNA ambientale, isolato da campioni di acqua” aggiunge Chiara Papetti. Il processo si svolgerà in stretta collaborazione con la Commissione per la Conservazione delle Risorse Marine viventi dell’Antartide (CCAMLR), e con le parti interessate delle comunità politiche, economiche e di conservazione della natura per rendere il monitoraggio un processo condiviso tra la componente scientifica e quella che attuerà le misure di gestione e protezione. Da molti anni l’UE e altri membri del CCAMLR sostengono la protezione di vaste aree del Mare di Weddell e grazie anche all’esperienza dell’Istituto Alfred Wegener, con il quale il Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova collabora da più di 20 anni, è stato sviluppato un concetto
di protezione presentato al CCAMLR nel 2016. “L’area marina protetta proposta è attualmente costituita da due regioni nel Mare di Weddell
occidentale e orientale, alcune delle quali si trovano all’interno dell’area di studio di WOBEC”, spiega la Dott.ssa Katharina Teschke, ecologa marina e responsabile del progetto per la costituzione dell’area marina protetta nel Mare di Weddell per l’Istituto Alfred Wegener. Il progetto per l’area marina protetta nel Mare di Weddell è il risultato di un approccio che considera l’intero ecosistema e si basa sul principio di precauzione. “L’obiettivo è quello di preservare una regione marina ancora incontaminata come rifugio per le specie adattate al freddo dove, nonostante l’attuale riscaldamento della Terra, si spera possano vivere indisturbate alle mutate condizioni ambientali – specifica Katharina Teschke –. Finora la proposta di una nuova area marina protetta non è passata perché il voto deve essere unanime, e l’attuale situazione geopolitica rende i negoziati della CCAMLR ancora più difficili. Tuttavia, la ratifica dell’Accordo sulla conservazione e l’uso sostenibile della diversità biologica marina nelle aree non soggette a giurisdizione nazionale (Trattato BBNJ), avvenuta l’anno scorso, è un segnale promettente. Questo potrebbe contribuire a stimolare il processo di dichiarazione di un’area marina protetta nel Mare di Weddell nell’ambito della CCAMLR. WOBEC ci darà l’opportunità di creare una strategia basata su dati scientifici per valutare la biodiversità all’interno dell’area marina protetta e i suoi futuri cambiamenti”.(30Science.com)