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Congresso SIMLA, “Cadaveri senza identità: Europa si doti di un database comune”

(4 Giugno 2024)

Roma – “Esiste un problema di cadaveri senza identità: l’Europa si doti di un database comune. Utile anche l’intelligenza artificiale per trovare possibili match tra cadaveri e scomparsi”, la professoressa Cristina Cattaneo chiede un impegno comune per l’identificazione. La medicina legale in prima linea nella ricerca dell’identità dei cadaveri senza nome. Il gruppo scientifico GIAOF di SIMLA lavora alle linee guida per l’identificazione: definizione entro due anni, sarebbe il primo modello uniforme per tutta Italia. Anche di emergenze umanitarie e medicina legale si discuterà al prossimo Congresso nazionale SIMLA dal 6 all’8 giugno a Catania. “Dietro ogni cadavere senza identità, c’è molto probabilmente una persona scomparsa che qualcuno sta cercando”. Parole della professoressa Cristina Cattaneo, ordinaria di Medicina legale all’Università Statale di Milano e presidente del Gruppo Italiano Antropologi Odontologi Forensi della Società Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni (SIMLA), che è da anni impegnata sul fronte del riconoscimento dei cosiddetti “cadaveri senza nome”. Un problema reale che s’incrocia con il lavoro del Commissario straordinario del governo per le persone scomparse che ogni sei mesi presenta, al presidente del Consiglio dei ministri, una relazione con i dati statistici sull’attività svolta: nel 2023
ci sono state 29.316 denunce di scomparsa e 14.159 ritrovamenti, attive ancora 15.156 denunce. Le denunce di scomparsa sono 80 al giorno, in crescita del 20% rispetto al 2022. Molte di queste persone potrebbero essere cadaveri senza nome. “A livello domestico esiste l’obbligo dei medici legali, quando compiono le autopsie – spiega la professoressa Cattaneo – di compilare la scheda RISC (Ricerca Scomparsi) per cadavere non identificato che confluisce in una banca dati nazionale per fare un matching con la scheda di una persona scomparsa già presente nel sistema in seguito alla denuncia”. Il sistema, almeno a livello domestico, esiste e ha una sua funzionalità, anche se ancora da perfezionare: esistono ancora problemi di implementazione del sistema sia per quel che riguarda i dati post mortem (relativi ai cadaveri) sia antemortem (relativi alle persone scomparse), così come esistono ancora molte difficoltà negli scambi di dati a livello internazionale. Il vero grande problema però si manifesta per le vittime delle traversate nel Mediterraneo che spesso non hanno documenti e non sono identificati. “Non esiste nessun obbligo per il nostro sistema – aggiunge la professoressa – di trattare le vittime dei naufragi come morti ‘nostri’, anche se i numeri sono di grande rilievo”. Secondo il progetto “Missing Migrants” dell’Oim (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), in dieci anni, cioè tra il 2014 e il 2023, sono stati registrati più di 63mila morti di migranti come vittime dei viaggi nel Mediterraneo. Tra costoro, più di due terzi non sono identificati, con grandi conseguenze per la salute mentale di chi cerca quei morti (ricordiamo il flagello della “perdita ambigua” che impedisce di elaborare il lutto, ma anche le conseguenze enormi sulla vita per orfani e vedove che non riescono ad ottenere certificati di morte). “Il nostro impegno – precisa la professoressa – è di fare in modo che questi morti abbiano la stessa dignità degli altri, chiedendo che anche per loro venga fatta una scheda da inserire all’interno di un sistema europeo che possa facilitarne l’identificazione attraverso la comparazione con le schede degli scomparsi”. I problemi, senza una prospettiva europea, si moltiplicano perché la scomparsa in mare non facilita, da parte dei parenti, la presentazione della denuncia o la richiesta di identificazione dal momento che il decesso potrebbe essere registrato in diversi Paesi europei.
“Da qui emerge la nostra richiesta al Parlamento europeo – evidenzia la professoressa Cattaneo che sul punto è stata ascoltata nel 2022 dalla Sottocommissione europea per i Diritti dell’Uomo – e nel 2024 dal Parlamento Europeo, di fare una legge che obblighi gli Stati membri a creare degli hub in cui si trovano i dati dei cadaveri senza identità da incrociare con quelli raccolti dai famigliari delle persone scomparse, ovunque essi si trovino. Parallelamente bisognerebbe operare per modificare la normativa italiana, o meglio implementare la legge 203 sugli scomparsi, al fine di promuovere un modello operativo che consenta di sottoporre ad autopsia giudiziaria e ad analisi identificative tutti i cadaveri senza identità e non solo quelli delle vittime di reato”. Il rischio concreto è che, sfuggiti alle maglie della giustizia, i cadaveri senza nome finiscano in un limbo da cui non è facile riemergere.
Una grande mano d’aiuto, in quest’ottica, può arrivare dall’intelligenza artificiale. “Condividere i dati dei cadaveri senza identità e delle persone scomparse – evidenzia la professoressa – permetterebbe alle persone che chiedono di conoscere il destino dei propri parenti di effettuare una ricerca attraverso qualunque tipo di dato, come una foto o un video, per trovare i match migliori tra le vittime. Una complicazione in questi casi è la necessaria cautela che va adottata in casi di paesi dove la fuga rappresenta un crimine per il quale i parenti ancora presenti nel paese di origine potrebbero subire conseguenze. Esiste già l’infrastruttura informativa per operare in questo senso, servono adesso le leggi”. La comunità italiana medico legale si sta muovendo da tempo. “Siamo in prima linea come gruppo scientifico SIMLA – conclude la professoressa – e infatti stiamo lavorando alle prime linee guida patologico e antropologico forensi sull’identificazione dei cadaveri, definendo una metodologia giuridica e scientifica per operare nei confronti di un cadavere senza identità e speriamo che i primi risultati di questo lungo e complesso lavoro possano arrivare a compimento nei prossimi due anni. Al nostro fianco in questa operazione ci sono giuristi e costituzionalisti, ma anche le società nazionali di radiologia, antropologia, pediatria e di medicina delle migrazioni – e siamo guidati da metodologi formati in statistica e epidemiologia biomedica. Per noi, come medici legali, il primo comandamento, di fronte a un cadavere o a resti umani, è quello dell’identificazione e dobbiamo quindi stimolare la Procura, e la società in genere, sull’azione per intercettare l’identità”. Inoltre, alcuni aspetti identificativi riguardano l’identificazione di persone viventi (ad esempio da sistemi di videosorveglianza) oppure l’identificazione dell’età biologica in casi di soggetti senza documenti e in particolare nei minori stranieri non accompagnati. Attualmente ci sono sparuti e disomogenei protocolli locali per l’identificazione in genere; non esistono delle linee guida scientifiche e condivise a livello nazionale, e neanche internazionale. Il GIAOF in questo potrebbe porre i primi mattoni di una validazione di interesse non solo italiano ma anche europeo.(30Science.com)

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