Roma – In Italia il 7% dei bambini soffre di un disturbo dello sviluppo del linguaggio in età prescolare. Per aiutare le famiglie a individuare questo problema e supportare i bambini, la Fondazione Don Gnocchi lancia “Baby bloom”, un servizio in cui gli specialisti e i genitori lavorano fianco a fianco, in casa e durante incontri dedicati. Si tratta di un un servizio rivolto ai bambini di età compresa tra i 18 e i 36 mesi con ritardo di sviluppo del linguaggio, in cui i genitori sono protagonisti, insieme agli specialisti, nella terapia del bambino. Purtroppo, in Italia questa condizione interessa circa sette bambini su cento* in età prescolare, posizionandosi al primo posto fra i disordini dello sviluppo in età pediatrica.
Campanelli d’allarme ne sono, ad esempio, il non aver acquisito, intorno ai 12 mesi, una o due parole come “mamma, papà” e non utilizzare almeno 50 parole a 24 mesi.
Il percorso si struttura in 15 incontri mono settimanali, inizia con una valutazione del neuropsichiatra infantile a cui segue una valutazione da parte del logopedista e una decina di incontri con i genitori nel corso dei quali vengono proposte attività che il genitore metterà poi in atto nel contesto familiare. L’intervento consiste infatti in un “parent training” e prevede l’utilizzo di alcuni sussidi adatti al percorso di cura stabilito.
Il servizio, che prevede una valutazione neuropsichiatrica iniziale del bambino gratuita, è presente nelle strutture dell’IRCCS Santa Maria Nascente e del Centro Vismara della Fondazione Don Gnocchi, che fanno riferimento al dipartimento di Neuropsichiatria infantile e Riabilitazione dell’età evolutiva coordinato da Anna Cavallini.
“Parlare in ritardo è abbastanza comune e riguarda circa il 13-20% dei bambini di due anni. Circa il 50% dei bambini supera le proprie difficoltà linguistiche. Questo spiega perché la raccomandazione di attendere è stata popolare per molti anni. Ma ci sono diversi problemi con questo approccio – sottolineano Laura Borzaga e Giulia Mantegazza, medici specialisti in neuropsichiatria infantile della Fondazione Don Gnocchi –. In primo luogo, chi parla in ritardo potrebbe non recuperare completamente il ritardo. Infatti, la presenza di difficoltà linguistiche precoci è un fattore di rischio significativo per lo sviluppo successivo di un vero e proprio disturbo primario di linguaggio. Inoltre, parlare tardi può avere un impatto negativo per il bambino già durante gli anni della prima infanzia: potrebbe sembrare frustrato, introverso o aggressivo proprio perché non ha le parole per esprimere sentimenti o desideri. Il bambino con difficoltà di linguaggio può inoltre sperimentare difficoltà negli anni della scuola primaria, quando le abilità linguistiche sono fondamentali per il successo scolastico e la socializzazione. La parte difficile è che non possiamo prevedere con precisione quali bambini che parlano tardi svilupperanno abilità linguistiche tipiche e quali saranno in seguito diagnosticati con un disturbo di linguaggio”.
Per fare fronte a questa situazione serve una presa in carico integrata, che coinvolga tutti gli attori del percorso educativo, abilitativo e riabilitativo. È dimostrato infatti che l’input linguistico e lo stile comunicativo dei genitori hanno un ruolo cruciale nello sviluppo delle abilità comunicative dei loro figli. Così, attraverso una piacevole attività di “lettura” condivisa, mediata da un logopedista, i genitori potranno essere i protagonisti di un intervento precoce, breve ed efficace, che cambierà la traiettoria di sviluppo del linguaggio del proprio bambino prima che si instauri un disturbo vero e proprio.
I campanelli di allarme cui prestare attenzione sono chiari. Per esempio se intorno ai 12 mesi di età il bambino non ha lallazione sia semplice (lala,dada ) sia variata (più consonanti insieme “ma-ta-ba”), non lalla per richiedere e mantenere l’attenzione dell’adulto, non imita i suoni, non ha acquisito 1 o 2 parole “mama, papa”.
Altri segnali, se intorno ai 15-18 mesi il bambino non dice 3-5 paroline a 15 mesi (non importa se la pronuncia è corretta o meno), non conosce o usa 15-20 parole a 18 mesi.
Infine, da non sottovalutare se a 24 mesi il bambino dice meno di 50 parole, non usa combinazioni di due parole, non usa almeno una parola nuova a settimana, preferisce i gesti per comunicare e non vocalizza, non riesce a imitare i suoni o parole semplici, non nomina tre parti del corpo, non fa domande semplici e brevi come “cos’è questo?” o, non usa consonanti come “g,t,f,d”.(30Science.com)