Roma – Il nuovo studio realizzato da Università Bocconi, Fondazione CMCC e Legambiente Lombardia quantifica l’influenza dell’allevamento di bovini e suini sull’inquinamento dell’aria in Lombardia e evidenzia la necessità di politiche integrate che coinvolgano anche il settore agricolo per tutelare salute e ambiente. Le attività agricole e l’allevamento contribuiscono significativamente alle concentrazioni di inquinanti pericolosi per la salute e l’ambiente in atmosfera, ma l’azione possibile in questi settori è spesso trascurata nel dibattito pubblico.
Il recente allarme per l’inquinamento nel Nord Italia ha riportato l’attenzione sulla regione Lombardia, una delle aree più critiche d’Europa in termini di qualità dell’aria. Il nuovo studio Exploring the impact of livestock on air quality: A deep dive into Ammonia and particulate matter in Lombardy, realizzato con la partecipazione di autori e autrici CMCC, offre un quadro di riferimento per studiare l’impatto dell’allevamento sull’inquinamento atmosferico nell’area, e sostiene la necessità di politiche integrate nel settore agricolo.
La ricerca è stata condotta nel contesto del progetto INHALE (Impact on humaN Health of Agriculture and Livestock Emissions), finanziato da Fondazione Cariplo, coordinato da Università Bocconi e realizzato in partnership con Fondazione CMCC e Legambiente Lombardia. Il progetto ha studiato in quali termini le emissioni derivanti dall’agricoltura concorrano ad elevate concentrazioni di particolato e, di conseguenza, possano determinare un connesso aumento di rischio sanitario per la popolazione in Lombardia. Dalla ricerca emerge la necessità, per le politiche di riduzione dell’inquinamento, di non ignorare le emissioni derivanti da fonti agro-zootecniche (ammoniaca), agendo allo stesso tempo sul fronte degli inquinanti da traffico (NOx).
“La Pianura Padana colpisce tristemente per la scarsa qualità dell’aria che respirano i suoi abitanti”, afferma Jacopo Lunghi dell’Università Bocconi e del CMCC, primo autore del lavoro. “I suoi livelli record di particolato, soprattutto in inverno, la rendono una delle aree più inquinate d’Europa. Indagare le fonti di quest’aria malsana è fondamentale per ridurre l’inquinamento e aumentare il benessere degli individui attraverso un’azione politica efficace”.
Il contributo delle emissioni di ammoniaca (NH3) ai livelli di particolato che si registrano in pianura Padana è sostanziale, e l’agricoltura, soprattutto per la gestione delle deiezioni zootecniche e l’uso di fertilizzanti, ne è la principale fonte. Le operazioni di allevamento sono responsabili di grandi rilasci di ammoniaca, un composto gassoso che funge da precursore nella formazione di aerosol secondari inorganici. Dalle reazioni con altri composti, come gli ossidi di zolfo (SOx) e gli ossidi di azoto (NOx), l’ammoniaca contribuisce a gran parte della composizione inorganica del PM2.5. Questo spiega perché l’inquinamento atmosferico degli allevamenti sia associato a malattie da ostruzione delle vie aeree e a polmoniti gravi.
In particolare, come emerge dallo studio, un aumento di 1.000 unità del bestiame innesca un corrispondente aumento giornaliero delle concentrazioni di ammoniaca e particolato in Lombardia, quantificato in 0,26 e 0,29 μg/m3 per i bovini (circa il 2% e l’1% delle rispettive medie giornaliere) e 0,01 e 0,04 μg/m3 per i suini. Lo studio suggerisce inoltre che l’allevamento di bovini e suini potrebbe essere responsabile fino al 25% dell’esposizione all’inquinamento locale.
Il lavoro contribuisce a stabilire un passo necessario per valutare la natura della correlazione diretta tra l’allevamento di bestiame e l’impatto sulla salute umana dovuto all’inquinamento atmosferico. L’uso di metodi di inferenza causale utilizzati nello studio è un approccio nuovo a questo tipo di analisi.
“La Pianura Padana soffre di una sfortunata combinazione di condizioni orografiche sfavorevoli, alta densità di popolazione e alta intensità industriale e agricola” afferma la ricercatrice del CMCC Lara Aleluia Reis. “Si sta facendo molto per mitigare le emissioni dei settori dell’energia e dei trasporti e, in una certa misura, anche del settore residenziale. L’agricoltura, e più specificamente il settore dell’allevamento, non può essere lasciata da parte e deve essere inclusa in politiche più severe di mitigazione dell’inquinamento atmosferico”.
Maurizio Malpede dell’Università di Verona afferma: “Comprendere l’impatto ambientale degli allevamenti intensivi può aprire la strada a un ambiente meno inquinato. La nostra ricerca può aiutarci a sviluppare pratiche agricole sostenibili che non solo riducono al minimo i danni ambientali, ma anche i rischi per la salute pubblica. Ottimizzando l’uso delle risorse e riducendo gli sprechi, possiamo garantire sistemi di produzione più efficienti e sostenibili. Inoltre, i risultati della nostra ricerca possono guidare le decisioni politiche per proteggere gli ecosistemi e la salute pubblica, aumentando al contempo la consapevolezza dei consumatori sulle conseguenze delle loro scelte alimentari, il che può contribuire agli sforzi globali per mitigare i cambiamenti climatici”. (30Science.com)