Roma – Il 30 giugno 1908 era da poco sorta l’alba, lungo le rive del fiume Tunguska, nella Siberia centrale, quando si verificò quello che viene considerato l’impatto del millennio: un’esplosione da 15 megatoni prodotta probabilmente da un meteoroide di circa 50-80 metri di diametro. Non è mai stato ritrovato. È il grande mistero di Tunguska. Ora uno studio, appena pubblicato su Icarus, guidato da tre ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica (INAF) ha calcolato in quale zona cercare eventuali frammenti. I ricercatori sono tre esperti della complessa arte del ricostruire la più probabile area di dispersione dei frammenti della caduta di un piccolo asteroide, il cosiddetto strewn field: Mario Di Martino, Giovanna Stirpe e, primo autore dello studio, Albino Carbognani.
“In effetti le testimonianze degli eventi raccolte all’epoca della caduta parlavano di pietre comparse nella foresta subito dopo la catastrofe”, ricorda Carbognani. “Purtroppo, la prima spedizione di Leonid Kulik è stata fatta solo 19 anni dopo, e gli eventuali frammenti macroscopici hanno avuto tutto il tempo per essere inghiottiti dal fango della taiga”.
Macroscopici quanto? E qual è la probabilità che siano giunti al suolo? “Per un meteorite avente un’energia cinetica di 15 Mt (quella più accettata per Tunguska) e velocità atmosferica nel range 11-20 km/s (tipica di un impatto asteroidale), un frammento dell’ordine del metro di diametro e con strength (forza di coesione) nel range 14-85 MPa poteva resistere all’onda d’urto, sopravvivere all’airburst avvenuto a circa 8,5 km di quota e arrivare al suolo”, spiega Carbognani sul sito INAF. “La coesione necessaria non è particolarmente elevata ed è fisicamente possibile, essendo circa solo due volte la strength massima stimata per il meteoroide di Carancas. Quindi è probabile che esistano frammenti macroscopici del Tcb. Peraltro, viste le piccole dimensioni dell’asteroide (circa 50-80 metri di diametro), il Tcb molto probabilmente era un corpo monolitico e non un rubble pile come ad esempio Bennu, che è molto più grande”.
Insomma, potrebbe valer la pena cercare. Per capire dove, Carbognani e colleghi hanno messo insieme i pochi dati disponibili grazie alle testimonianze storiche e alle numerose campagne scientifiche che si sono succedute da allora: dati come l’azimut della direzione di provenienza, il possibile angolo d’ingresso e l’epicentro dell’esplosione. Poi li hanno inseriti, con tutte le loro incertezze, in un modello messo a punto avvalendosi di un altro impatto, quello del secolo: l’evento di Chelyabinsk del 2013, per il quale è stato rinvenuto un frammento monolitico con una massa di ben 570 kg e i dati sono abbondanti e molto precisi. Infine, grazie anche alla loro pluriennale esperienza con il progetto Prisma, coronata da un clamoroso primo successo nel 2020 con il ritrovamento della meteorite di Cavezzo, e a un software – ottimisticamente battezzato Meteorite Finder – da loro stessi sviluppato per calcolare il cosiddetto “volo buio” (dark flight) di un meteoroide e delimitarne l’area di dispersione sul terreno, hanno individuato la regione più promettente.
“Dai calcoli risulta che il possibile strewn field di Tunguska si colloca a circa 11 km a nord-ovest dall’epicentro dell’esplosione e ha un’estensione di circa 140 km quadrati. Se ci sono – avverte Carbognani – le meteoriti macroscopiche devono essere sottoterra, perché quando sono arrivate al suolo avevano ancora abbastanza energia cinetica per penetrare il fangoso suolo siberiano. In definitiva il caso Tunguska non è chiuso e potrebbero esserci dei frammenti del Tcb che aspettano di essere ritrovati: le informazioni che si potrebbero ottenere chiarirebbero la natura del corpo oltre ogni ragionevole dubbio. Sarebbe la soluzione di un “mistero” che dura da più di un secolo e che è tempo di risolvere”.(30Science.com)