Roma – I cuccioli di cani nati da padri più anziani presentano un numero maggiore di mutazioni genetiche completamente nuove. È quanto emerge da una ricerca guidata dall’Università di Helsinki e dal Folkhälsan Research Center, che ha analizzato il genoma di 390 famiglie canine (madre, padre e cucciolo) per comprendere come e quando si formano le cosiddette mutazioni “de novo”, cioè cambiamenti nel DNA che non compaiono nei genomi dei genitori ma insorgono spontaneamente nel gamete o nelle prime fasi dopo il concepimento. Queste mutazioni, pur rappresentando il motore dell’evoluzione, possono anche predisporre a malattie ereditarie. “Combinando gli alberi genealogici estesi del nostro biobanca con una sequenza del DNA estremamente dettagliata, siamo riusciti a individuare con precisione dove e come si originano le nuove mutazioni,” spiega il professor Hannes Lohi, genetista veterinario e coordinatore dello studio. La ricerca, pubblicata il 16 ottobre, mostra che per ogni nascita si verificano poche decine di nuove mutazioni nel DNA del cucciolo e che il tasso generazionale di mutazione è simile tra razze diverse, nonostante la forte selezione genetica operata dagli allevatori. Tuttavia, l’età paterna è risultata un fattore determinante: i cani maschi più anziani trasmettono un numero significativamente maggiore di mutazioni ai propri cuccioli, un effetto ancora più marcato rispetto a quanto osservato negli esseri umani. Anche l’età materna ha mostrato un’influenza, sebbene più contenuta. Curiosamente, la dimensione della razza gioca un ruolo: nelle razze grandi, le mutazioni tendono ad accumularsi più precocemente nella vita riproduttiva, mentre nelle razze piccole aumentano più rapidamente con l’età. Nonostante ciò, il numero complessivo di mutazioni per generazione rimane stabile tra le varie razze. Lo studio ha evidenziato un’elevata concentrazione nelle regioni regolatorie del DNA, le cosiddette isole CpG, che controllano l’attivazione e la disattivazione dei geni. Nei cani, queste aree risultano particolarmente vulnerabili rispetto ad altre specie, in particolare all’uomo. Una possibile spiegazione riguarda la mancanza della proteina PRDM9, un regolatore chiave della ricombinazione genetica durante la formazione dei gameti, presente negli esseri umani ma assente nei cani. Questa differenza potrebbe spiegare perché le nuove mutazioni canine tendono a concentrarsi in specifiche zone del genoma. Nel corso dello studio, i ricercatori hanno individuato anche un caso eccezionale: un cucciolo presentava un numero di mutazioni decine di volte superiore alla media, quasi tutte di origine materna. L’episodio suggerisce un temporaneo malfunzionamento nei processi di riparazione del DNA durante la formazione dell’ovulo, un fenomeno osservato anche nell’uomo. I risultati hanno importanti ricadute pratiche per l’allevamento e la salute dei cani. Sapere quando e dove si generano le nuove mutazioni può aiutare a migliorare le decisioni riproduttive e a considerare l’età dei genitori come fattore di rischio genetico. “Queste conoscenze – osserva Lohi – ci permettono di comprendere meglio i meccanismi dell’evoluzione del genoma canino e, allo stesso tempo, di raffinare le pratiche di selezione per ridurre l’incidenza di malattie ereditarie.” Applicando i dati raccolti anche all’evoluzione dei canidi, gli studiosi hanno potuto stimare con maggiore precisione la separazione evolutiva tra cani e lupi, collocandola tra 23.000 e 30.000 anni fa. Lo studio, che rappresenta la più ampia indagine genomica mai condotta sui cani in questa prospettiva, fornisce una base di riferimento anche per la genetica umana, dimostrando come i processi di mutazione spontanea siano sorprendentemente conservati tra specie diverse.(30Science.com)

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Cani, più mutazioni genetiche nei cuccioli con padri anziani
(17 Ottobre 2025)

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