Roma – Anche un solo centimetro del corpo calloso può bastare per mantenere la comunicazione tra i due emisferi del cervello umano. È quanto emerge da uno studio pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) e condotto da un team internazionale coordinato dall’Università della California – San Francisco (UCSF), in collaborazione con il Bethel Epilepsy Center di Bielefeld, in Germania. La ricerca, basata su dati di neuroimaging e analisi di rete cerebrale, mette in discussione uno dei principi fondamentali della neuroscienza moderna: che la connessione strutturale tra le due metà del cervello sia indispensabile e proporzionale al grado di comunicazione funzionale tra di esse. Gli scienziati hanno analizzato sei pazienti adulti sottoposti a callosotomia, un intervento chirurgico utilizzato per trattare forme gravi di epilessia, che prevede la recisione totale o parziale del corpo calloso – il fascio di fibre nervose che collega i due emisferi cerebrali. Dei sei partecipanti, quattro avevano subito una recisione completa e due solo parziale. In uno di questi ultimi, nonostante fosse rimasto intatto appena un centimetro della parte posteriore del corpo calloso (lo splenio), i ricercatori hanno osservato una completa integrazione funzionale tra le reti cerebrali di destra e di sinistra. Lo studio ha impiegato tecniche avanzate di risonanza magnetica funzionale e di analisi computazionale delle reti neuronali per misurare la connettività cerebrale a riposo. I risultati hanno mostrato che, nei pazienti con recisione totale, le reti funzionali si erano sostanzialmente “sdoppiate”, operando in modo indipendente in ciascun emisfero, in linea con i classici sintomi del cosiddetto “cervello diviso”. Tuttavia, nei pazienti con anche una minima parte del corpo calloso intatta, la comunicazione interemisferica risultava perfettamente conservata, e nessuno di loro presentava segni clinici di disconnessione cognitiva o sensoriale. Secondo gli autori, questi risultati ribaltano la visione tradizionale della corrispondenza diretta tra struttura anatomica e funzione cerebrale. “Il nostro lavoro suggerisce che i meccanismi che permettono al cervello di integrare le informazioni tra i due emisferi sono molto più flessibili e adattabili di quanto pensassimo”, spiega Ahmed Abdelhak, neuroscienziato della UCSF e primo autore dello studio. “Anche un residuo minimo di fibre callose può mantenere una piena comunicazione funzionale”. In particolare, i ricercatori hanno evidenziato che lo splenio, la parte posteriore del corpo calloso, potrebbe avere un ruolo molto più ampio di quanto ritenuto finora, non solo nell’integrazione visiva ma anche nel coordinamento di informazioni tattili, motorie e linguistiche. Uno dei pazienti analizzati, infatti, era in grado di nominare oggetti toccati con la mano sinistra – un compito che richiede il trasferimento di informazioni dal lobo parietale destro (che controlla la mano) al lobo temporale sinistro (che gestisce il linguaggio) – nonostante quasi tutto il corpo calloso fosse stato reciso. Lo studio fornisce nuove prospettive sui processi di plasticità e riorganizzazione del cervello umano. Anche quando le connessioni fisiche vengono drasticamente ridotte, spiegano gli autori, la mente riesce a sfruttare canali alternativi di comunicazione, probabilmente coinvolgendo strutture come la commissura anteriore o meccanismi sincroni di attività neuronale. “La nostra scoperta apre una nuova finestra sulla capacità del cervello di adattarsi e mantenere la coerenza cognitiva anche in condizioni di lesione estesa”, aggiunge Ari Green, direttore della Divisione di Neuroimmunologia e Biologia Gliale della UCSF e autore senior dello studio. “Comprendere come pochi millimetri di connessione possano garantire un’integrazione funzionale completa ci aiuterà a ridefinire i modelli di rete cerebrale e a sviluppare approcci più efficaci per la riabilitazione dopo lesioni o interventi neurologici.” I ricercatori sottolineano che, oltre a ridefinire il ruolo del corpo calloso, i risultati possono contribuire a spiegare la straordinaria resilienza del cervello umano e il modo in cui la plasticità neuronale può mantenere funzioni complesse anche in presenza di danni strutturali gravi. Un risultato che, in prospettiva, potrà avere implicazioni importanti non solo per la neurochirurgia e la neurologia clinica, ma anche per la comprensione dei meccanismi fondamentali dell’integrazione cognitiva. Lo studio rappresenta uno dei più completi tentativi finora di osservare con tecniche di neuroimaging avanzate come il cervello umano mantenga la sua unità anche quando viene fisicamente diviso in due.(30Science.com)
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