Roma – Alcuni degli oggetti più remoti osservati dal telescopio spaziale James Webb (JWST) potrebbero non essere galassie primordiali, ma un tipo di stelle ipotetiche finora mai confermate: le stelle oscure supermassicce. Un nuovo studio guidato da Cosmin Ilie della Colgate University, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), ha analizzato dati spettroscopici e morfologici di quattro sorgenti a redshift altissimi, mostrando che sono compatibili con l’interpretazione come stelle oscure.
Le stelle oscure (dark stars) furono teorizzate per la prima volta nel 2008 da Katherine Freese, Doug Spolyar e Paolo Gondolo. A differenza delle stelle “normali”, alimentate dalla fusione nucleare, queste gigantesche nubi di idrogeno ed elio verrebbero sostenute dall’energia prodotta dall’autoannichilazione di particelle di materia oscura, che costituirebbero circa un quarto dell’universo. Le versioni supermassicce, con masse fino a milioni di soli, potrebbero spiegare due enigmi emersi con le osservazioni del JWST: la presenza precoce di galassie estremamente brillanti e compatte, e l’origine dei buchi neri supermassicci che alimentano i quasar più antichi.
Il team di Ilie, con la collaborazione di Shafaat Mahmud e Jillian Paulin (Colgate University), oltre a Freese (University of Texas at Austin), ha esaminato oggetti individuati dal JWST Advanced Deep Extragalactic Survey (JADES) nell’area dell’Ultra Deep Field di Hubble: JADES-GS-z14-0, JADES-GS-z14-1, JADES-GS-13-0 e JADES-GS-z11-0. In particolare, JADES-GS-z14-1 appare come sorgente puntiforme, coerente con un’unica stella supermassiccia. Gli altri tre sono compatti e possono essere modellati come stelle oscure circondate da una nebulosa di idrogeno ed elio ionizzati.
La chiave è una firma spettrale caratteristica: un assorbimento a 1640 Ångström, dovuto all’elio ionizzato presente nelle atmosfere di queste stelle. “Uno dei momenti più emozionanti – racconta Ilie – è stato quando abbiamo identificato un accenno di questo segnale nell’oggetto JADES-GS-z14-0. Nonostante il rapporto segnale-rumore sia basso, è la prima volta che rileviamo un possibile ‘smoking gun’ di una stella oscura, il che è straordinario”.
Osservazioni complementari con l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA) hanno però rivelato ossigeno nello stesso oggetto, suggerendo che possa trattarsi di una stella oscura non isolata, ma inserita in un ambiente arricchito da metalli, magari in seguito a una fusione con una galassia, oppure coesistente con stelle normali nello stesso alone di materia oscura.
Secondo Freese, “per la prima volta abbiamo identificato candidati spettroscopici di stelle oscure supermassicce nel JWST, inclusi gli oggetti più antichi a redshift 14, appena 300 milioni di anni dopo il Big Bang. Pesando un milione di soli, queste stelle non solo ci insegnano sulla natura della materia oscura, ma potrebbero essere i precursori dei buchi neri supermassicci che vediamo già in epoche remotissime”.
Il lavoro si inserisce in una linea di ricerca avviata con uno studio del 2023, in cui erano stati individuati i primi candidati fotometrici di dark stars. Ora, grazie ai dati spettroscopici di NIRSpec, l’evidenza si rafforza. La conferma definitiva richiederà osservazioni più profonde, ma la prospettiva è dirompente: l’identificazione di stelle alimentate da materia oscura aprirebbe una nuova branca dell’astrofisica e fornirebbe un laboratorio unico per indagare la natura di queste elusive particelle.(30Science.com)