Roma – Gettata nuova luce sull’evoluzione della capacità dei mammiferi placentati di portare avanti una gravidanza prolungata e complessa. A farlo uno studio internazionale guidato da Daniel J. Stadtmauer, Silvia Basanta e Mihaela Pavličev, presso il Dipartimento di Biologia Evoluzionistica dell’Università di Vienna, in collaborazione con Günter Wagner, dell’Università di Yale, pubblicato sulla rivista Nature Ecology & Evolution. La ricerca ha indagato le origini evolutive delle cellule e dei segnali molecolari che regolano l’interfaccia tra madre e feto durante la gravidanza. Il gruppo di ricerca ha analizzato i trascrittomi monocellulari di sei specie di mammiferi rappresentative di diversi rami evolutivi, tra cui topi, porcellini d’India, macachi, esseri umani, il tenrec, un mammifero placentato primitivo, e l’opossum, un marsupiale. Questa analisi ha permesso di tracciare l’origine e la diversificazione dei principali tipi cellulari coinvolti nell’interfaccia feto-materna, in particolare le cellule placentari fetali invasive e le cellule stromali uterine materne. Una scoperta chiave è stata l’identificazione di una firma genetica associata al comportamento invasivo delle cellule placentari, conservata nei mammiferi da oltre 100 milioni di anni, contraddicendo l’idea che tale invasività sia un’esclusiva degli esseri umani.

Fig. 2: … and the opossum (a marsupial that split off from placental mammals before they evolved complex placentas).
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Daniel Stadtmauer
Inoltre, i ricercatori hanno rilevato che i mammiferi placentati hanno sviluppato nuove forme di produzione ormonale materna, fondamentali per gravidanze più lunghe e complesse, suggerendo un’evoluzione reciproca tra feto e madre. Lo studio ha inoltre testato due teorie sull’evoluzione della comunicazione cellulare nell’interfaccia feto-materna: l’“ipotesi di disambiguazione”, che prevede una chiara attribuzione dei segnali ormonali a madre o feto, e l’“ipotesi di escalation” o “conflitto genomico”, che descrive una competizione evolutiva tra geni materni e fetali. I risultati hanno confermato la prima ipotesi per molti segnali chiave e hanno rilevato segni limitati di conflitto genetico, indicando una comunicazione cooperativa finemente bilanciata. Grazie all’uso combinato di trascrittomica monocellulare e modellazione evolutiva, il team ha potuto ricostruire il dialogo cellulare tra madre e feto e la sua evoluzione nel tempo, aprendo nuove prospettive per comprendere l’evoluzione di sistemi biologici complessi e potenzialmente migliorare la diagnosi e il trattamento delle complicanze della gravidanza. La ricerca è stata finanziata dalla John Templeton Foundation e dall’Austrian Science Fund, FWF.(30Science.com)