Lucrezia Parpaglioni

Quasi il 25% del paesaggio europeo potrebbe avere una seconda vita

(15 Agosto 2024)

Roma – Quasi un quarto dei terreni agricoli abbandonati d’Europa potrebbe trovare nuova vita grazie al rewilding, un movimento per riportare i paesaggi devastati alla loro natura selvaggia prima dell’intervento umano. Lo rivela un nuovo studio guidato da Miguel B. Araújo, del Museo Nazionale di Scienze Naturali, CSIC, in Spagna, e dell’Università di Évora, Portogallo, pubblicato sulla rivista Cell Press Current Biology. Il 25% del continente europeo, pari a 117 milioni di ettari, è pronto ad accogliere opportunità di rewilding, secondo quanto riferiscono i ricercatori. Lo studio offre una tabella di marcia per i paesi che vogliono raggiungere gli obiettivi dettati dalla strategia europea per la biodiversità del 2030, che prevede la protezione del 30% del territorio, con il 10% di queste aree rigorosamente sottoposte a conservazione. La squadra di ricerca ha scoperto che il 70% delle opportunità di rewilding in Europa si trova nei climi più freddi. L’Europa settentrionale, in particolare la Scandinavia, la Scozia, gli Stati baltici e diverse regioni montuose della penisola iberica, mostrano il potenziale maggiore. “Ci sono molte aree in Europa che hanno un’impronta umana sufficientemente bassa, oltre alla presenza di specie animali chiave, per essere potenzialmente rigenerate”, ha affermato Araújo, primo autore dello studio. “Evidenziamo anche la necessità di strategie diverse a seconda delle condizioni di ciascuna regione”, ha continuato Araújo. I ricercatori hanno stabilito dei criteri per determinare le aree con potenziale di rewilding: vasti tratti di terreno, con una superficie superiore a 10.000 ettari, poco disturbati dall’uomo e caratterizzati da specie vitali. In base alle dimensioni del territorio e ai tipi di animali che vi abitano, hanno poi identificato due strategie di rewilding: passivo e attivo. Il rewilding passivo si basa sulla ricolonizzazione naturale, in cui gli animali si spostano gradualmente e da soli nelle aree abbandonate. Questo approccio funziona meglio nelle regioni con una popolazione sana di erbivori chiave, come cervi, stambecchi, alci e conigli, e di carnivori, come lupi, orsi e linci. Le regioni prive di specie erbivore o carnivore chiave richiederebbero un rewilding attivo, reintroducendo le specie mancanti per dare il via alla ripresa dell’ecosistema. Entrambe le strategie mirano a creare un paesaggio autosufficiente e ricco di biodiversità. “Mi riferisco spesso agli erbivori come agli ingegneri dell’ecosistema, poiché pascolano e modellano la vegetazione, mentre i predatori sarebbero gli architetti che creano i ‘paesaggi della paura’ che gli erbivori evitano”, ha spiegato Araújo. “L’interazione tra erbivori e carnivori crea modelli di mosaico nei paesaggi, essenziali per la biodiversità”, ha proseguito Araújo. Alcuni Paesi, tra cui il Regno Unito, la Francia, la Spagna e le nazioni scandinave, sono in grado di raggiungere i loro obiettivi di conservazione se adottano le zone e le strategie di rewilding suggerite dallo studio. Tuttavia, dato che l’Europa è densamente popolata da esseri umani, altri Paesi non riuscirebbero a raggiungere i loro obiettivi di conservazione se si affidassero esclusivamente alle raccomandazioni dello studio, evidenziando la necessità di approcci di conservazione alternativi. Questi Paesi includono Irlanda, Italia, Belgio, Paesi Bassi e Danimarca. “Le strategie di conservazione che prevedono il ripristino ecologico delle aree densamente popolate potrebbero aiutare alcuni Paesi a raggiungere gli obiettivi di conservazione”, ha sottolineato Araújo. “I Paesi potrebbero bonificare i terreni per trasformarli in aree di conservazione o creare reti di piccoli habitat protetti”, ha suggerito Araújo. “Anche i tradizionali paesaggi multiuso, come i parchi di querce della penisola iberica e i vari sistemi agricoli e forestali estensivi in Europa, potrebbero essere d’aiuto se gestiti in modo sostenibile”, ha aggiunto Araújo. Poiché i governi e le organizzazioni continuano a investire nella conservazione del territorio, i ricercatori sperano che le loro scoperte e il loro quadro di riferimento aiutino questi sforzi ad acquisire o gestire le aree con il maggior potenziale di successo per il rewilding. Tuttavia, nonostante le prospettive, gli autori avvertono che il tempo è fondamentale. “Stiamo correndo contro il tempo”, ha evidenziato Araújo. “Le aree che oggi sembrano più promettenti per il rewilding potrebbero non essere più le stesse tra 50 anni a causa degli impatti del cambiamento climatico”, ha concluso Araújo.(30Science.com)

Lucrezia Parpaglioni
Sono nata nel 1992. Sono laureata in Media Comunicazione digitale e Giornalismo presso l'Università Sapienza di Roma. Durante il mio percorso di studi ho svolto un'attività di tirocinio presso l'ufficio stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Qui ho potuto confrontarmi con il mondo della scienza fatto di prove, scoperte e ricercatori. E devo ammettere che la cosa mi è piaciuta. D'altronde era prevedibile che chi ha da sempre come idolo Margherita Hack e Sheldon Cooper come spirito guida si appassionasse a questa realtà. Da qui la mia voglia di scrivere di scienza, di fare divulgazione e perché no? Dimostrare che la scienza può essere anche divertente.