Lucrezia Parpaglioni

Chi è solo ha più incubi

(8 Agosto 2024)

Roma –– Chi si sente solo è più incline a fare brutti sogni. Lo rivela uno studio guidato da Kory Floyd, dell’Università dell’Arizona, che ha visto la collaborazione di scienziati della Oregon State University, dell’Università di Tampa e dell’Università di Whitworth. I risultati, pubblicati sul Journal of Psychology, mostrano inoltre come lo stress abbia un ruolo nel legame tra solitudine e frequenza e intensità degli incubi. “Lo studio assume rilievo perché sia la solitudine che i disturbi del sonno sono gravi problemi di salute pubblica”, ha detto Colin Hesse dell’OSU. “Entrambi sono collegati a un aumento del rischio di malattie cardiache, ictus e morte prematura”, ha continuato Hesse. Altri fattori che legano la solitudine agli incubi sembrano essere la ruminazione, ovvero in psicologia la tendenza a focalizzarsi ripetutamente su eventi passati che hanno generato emozioni negative e sulle loro implicazioni, nel tentativo di comprenderne le cause e analizzarne le conseguenze e l’iperarousal, descritto come lo stato di estrema attenzione e concentrazione. Come lo stress, la ruminazione e l’iperarousal sono stati mentali associati alla solitudine. Oltre a far luce su un potenziale effetto negativo di scarsi legami sociali, i risultati dello studio sono in linea con la teoria evolutiva della solitudine, secondo cui il senso di appartenenza è essenziale per la sopravvivenza umana. “Le relazioni interpersonali sono un bisogno fondamentale dell’uomo”, ha dichiarato Hesse, direttore della Scuola di Comunicazione del College of Liberal Arts dell’OSU. “Quando il bisogno di relazioni forti non viene soddisfatto, le persone soffrono fisicamente, mentalmente e socialmente”, ha proseguito Hesse. “Proprio come la fame o la stanchezza indicano che non si sono assunte abbastanza calorie o non si è dormito a sufficienza, la solitudine si è evoluta per avvertire gli individui quando i loro bisogni di connessione interpersonale non vengono soddisfatti”, ha osservato Hesse. “La solitudine è una condizione pervasiva che ostacola in modo significativo il benessere, causando sofferenza in una serie di forme, tra cui il sonno”, hanno affermato gli autori. “L’esperienza degli incubi danneggia la qualità del sonno”, hanno evidenziato i ricercatori. “I risultati che collegano la solitudine agli incubi, in modo correlativo, piuttosto che causale, provengono da indagini condotte dagli autori su oltre 1.600 adulti negli Stati Uniti, di età compresa tra i 18 e gli 81 anni”, ha spiegato Hesse. Lo studio offre anche una spiegazione degli incubi che affonda le sue radici nell’evoluzione: gli esseri umani si sono evoluti per sperimentare stress, ruminazione e maggiore attenzione quando sono soli, piuttosto che in ambienti sociali. “È troppo presto per parlare di interventi specifici in modo concreto”, ha ammesso Hesse. “Ma – ha aggiunto Hesse – i nostri risultati sono certamente coerenti con la possibilità che il trattamento della solitudine aiuti a ridurre le esperienze di incubo di qualcuno: è una possibilità da affrontare in studi clinici controllati”. Secondo la Sleep Foundation, si stima che tra i 50 e i 70 milioni di americani abbiano qualche tipo di disturbo del sonno. “Un sonno ristoratore di qualità è un elemento fondamentale per il funzionamento cognitivo, la regolazione dell’umore, il metabolismo e molti altri aspetti del benessere”, ha detto Hesse. “Per questo è fondamentale indagare sugli stati psicologici che disturbano il sonno, tra cui la solitudine”, ha concluso Hesse. (30Science.com)

Lucrezia Parpaglioni
Sono nata nel 1992. Sono laureata in Media Comunicazione digitale e Giornalismo presso l'Università Sapienza di Roma. Durante il mio percorso di studi ho svolto un'attività di tirocinio presso l'ufficio stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Qui ho potuto confrontarmi con il mondo della scienza fatto di prove, scoperte e ricercatori. E devo ammettere che la cosa mi è piaciuta. D'altronde era prevedibile che chi ha da sempre come idolo Margherita Hack e Sheldon Cooper come spirito guida si appassionasse a questa realtà. Da qui la mia voglia di scrivere di scienza, di fare divulgazione e perché no? Dimostrare che la scienza può essere anche divertente.