Lucrezia Parpaglioni

Tumori: è possibile riprogettare le cellule cancerose e spingerle all’autodistruzione

(4 Luglio 2024)

Roma  – Un nuovo approccio si è dimostrato efficace nel riprogrammare e invertire l’evoluzione del cancro, con potenziali applicazioni future nel trattamento dei tumori. Lo rivela un nuovo studio guidato da ricercatori della Penn State, pubblicato sulla rivista Nature Biotechnology. L squadra di ricerca ha creato un circuito genetico modulare in grado di trasformare le cellule tumorali in un “cavallo di Troia”, inducendole ad autodistruggersi e uccidere le cellule tumorali vicine resistenti ai farmaci. A volte, curare il cancro può sembrare un gioco di Whac-A-Mole. La malattia può diventare resistente al trattamento e i medici non sanno mai quando, dove e quale resistenza potrebbe emergere, lasciandoli spesso un passo indietro. Ma, testato su linee cellulari umane e su topi come prova di concetto, il circuito ha mostrato di poter far fronte e superare un’ampia gamma di meccanismi di resistenza. I ricercatori hanno anche depositato una domanda di brevetto provvisorio per la tecnologia descritta nell’articolo. “Questa idea è nata dalla frustrazione: non stiamo facendo un cattivo lavoro nello sviluppo di nuove terapie per il trattamento del cancro, ma come possiamo pensare a potenziali cure per i tumori in fase avanzata?”, ha dichiarato Justin Pritchard, Dorothy Foehr Huck and J. Lloyd Huck Early Career Entrepreneurial Associate Professor of Biomedical Engineering e autore senior dell’articolo. “I gene drive di selezione sono un nuovo potente paradigma per la terapia antitumorale guidata dall’evoluzione”, ha continuato Pritchard. “Mi piace l’idea che possiamo usare l’inevitabilità dell’evoluzione di un tumore contro di lui”, ha affermato Pritchard. “I nuovi farmaci antitumorali personalizzati spesso falliscono, non perché le terapie non siano valide, ma a causa della diversità e dell’eterogeneità intrinseca del cancro”, ha spiegato Pritchard. “Anche se una terapia di prima linea è efficace, alla fine si sviluppa una resistenza e il farmaco smette di funzionare, permettendo al cancro di tornare”, ha proseguito Pritchard. “I medici si ritrovano quindi al punto di partenza, ripetendo il processo con un nuovo farmaco finché non emerge nuovamente la resistenza”, ha aggiunto Pritchard. “Il ciclo si intensifica con ogni nuovo trattamento, fino a quando non sono disponibili altre opzioni”, ha dichiarato Pritchard. “Si tratta di una partita a Whac-A-Mole: non si sa quale sarà il prossimo neo, quindi non si sa quale sarà il farmaco migliore per trattare il tumore”, ha aggiunto Scott Leighow, borsista post-dottorato in ingegneria biomedica e autore principale dello studio. “Siamo sempre in contropiede, impreparati”, ha osservato Leighow. I ricercatori si sono chiesti se, invece, potessero fare un passo avanti, eliminando potenzialmente i meccanismi di resistenza prima che le cellule tumorali abbiano la possibilità di evolversi e spuntare inaspettatamente. Quello che è iniziato come un esperimento di pensiero sta dimostrando di funzionare. La squadra di ricerca ha creato un circuito modulare, o un gene di selezione a doppio interruttore, da introdurre in cellule di cancro al polmone non a piccole cellule con una mutazione del gene EGFR. Questa mutazione è un biomarcatore che i farmaci esistenti sul mercato possono colpire. Il circuito ha due geni, o interruttori. Il primo interruttore agisce come un gene di selezione, consentendo ai ricercatori di attivare e disattivare la resistenza ai farmaci, come un interruttore della luce. Con l’interruttore uno acceso, le cellule geneticamente modificate diventano temporaneamente resistenti a un farmaco specifico, in questo caso a un farmaco contro il cancro del polmone non piccolo. Quando il tumore viene trattato con il farmaco, le cellule cancerose native sensibili al farmaco vengono uccise, lasciando dietro di sé le cellule modificate per resistere e una piccola popolazione di cellule cancerose native resistenti al farmaco. Le cellule modificate finiscono per crescere ed escludere le cellule autoctone resistenti, impedendo loro di amplificarsi e di sviluppare una nuova resistenza. Il tumore risultante contiene prevalentemente cellule geneticamente modificate. Quando l’interruttore uno viene spento, le cellule diventano nuovamente sensibili ai farmaci. L’interruttore due è il carico terapeutico. Contiene un gene suicida che consente alle cellule modificate di produrre una tossina diffusibile in grado di uccidere sia le cellule modificate che quelle vicine non modificate. “Non uccide solo le cellule modificate, ma anche le cellule circostanti, cioè la popolazione nativa resistente”, ha evidenziato Pritchard. “È un aspetto critico: è la popolazione di cui ci si vuole sbarazzare per evitare che il tumore ricresca”, ha notato Pritchard. La squadra di scienziati ha dapprima simulato le popolazioni di cellule tumorali e ha utilizzato modelli matematici per verificare il concetto. Poi ha clonato ogni interruttore, confezionandoli separatamente in vettori virali e testandone la funzionalità singolarmente in linee cellulari tumorali umane. I ricercatoti hanno poi accoppiato i due interruttori in un unico circuito e lo hanno testato nuovamente. Quando il circuito ha dimostrato di funzionare in vitro, hanno ripetuto gli esperimenti nei topi. Tuttavia, il gruppo di ricercatori non voleva solo sapere che il circuito funzionasse, ma che potesse funzionare in ogni modo. A tal proposito, gli scienziati hanno testato il sistema utilizzando complesse librerie genetiche di varianti di resistenza per vedere se il gene drive potesse funzionare in modo abbastanza robusto da contrastare tutti i modi genetici in cui la resistenza potrebbe verificarsi nelle popolazioni di cellule tumorali. E, ha funzionato: solo una manciata di cellule ingegnerizzate può prendere il controllo della popolazione di cellule tumorali e sradicare alti livelli di eterogeneità genetica. Secondo Pritchard, questo è uno dei maggiori punti di forza del lavoro, concettualmente e sperimentalmente. “Il bello è che siamo in grado di colpire le cellule tumorali senza sapere cosa siano, senza aspettare che crescano o che si sviluppi una resistenza, perché a quel punto è troppo tardi”, ha sottolineato Leighow. I ricercatori stanno attualmente lavorando su come tradurre questo circuito genetico in modo che possa essere distribuito in modo sicuro e selettivo nei tumori in crescita ed eventualmente nella malattia metastatica. (30Science.com)

Lucrezia Parpaglioni
Sono nata nel 1992. Sono laureata in Media Comunicazione digitale e Giornalismo presso l'Università Sapienza di Roma. Durante il mio percorso di studi ho svolto un'attività di tirocinio presso l'ufficio stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Qui ho potuto confrontarmi con il mondo della scienza fatto di prove, scoperte e ricercatori. E devo ammettere che la cosa mi è piaciuta. D'altronde era prevedibile che chi ha da sempre come idolo Margherita Hack e Sheldon Cooper come spirito guida si appassionasse a questa realtà. Da qui la mia voglia di scrivere di scienza, di fare divulgazione e perché no? Dimostrare che la scienza può essere anche divertente.