Lucrezia Parpaglioni

Scoperti i meccanismi alla base del pensiero creativo

(16 Luglio 2024)

Roma – Grazie ad un metodo preciso di imaging cerebrale è stato svelato come le diverse parti del cervello lavorano insieme per produrre il pensiero creativo. A riuscire nell’impresa un gruppo di ricerca guidato da un ricercatore della University of Utah Health e con sede al Baylor College of Medicine. I risultati, pubblicati su BRAIN, potrebbero contribuire a creare interventi che stimolino il pensiero creativo o aiutino le persone affette da malattie mentali che disturbano queste regioni del cervello. Il pensiero creativo è un segno distintivo dell’umanità, ma è una capacità effimera, quasi paradossale, che colpisce inaspettatamente quando non viene cercata. Anche la fonte neurologica della creatività, ciò che accade nel cervello quando si pensa fuori dagli schemi è altrettanto poco nota. I processi cognitivi superiori come la creatività sono particolarmente difficili da studiare. “A differenza della funzione motoria o della visione, non dipendono da una specifica posizione nel cervello”, ha spiegato Ben Shofty, professore assistente di neurochirurgia presso la Spencer Fox Eccles School of Medicine e autore senior del lavoro. “Non esiste una corteccia della creatività”, ha continuato Shofty. Ma, ci sono prove che la creatività è una funzione cerebrale distinta. Le lesioni cerebrali localizzate causate da ictus possono portare a cambiamenti nella capacità creativa, sia positivi che negativi. Questa scoperta suggerisce che è possibile restringere le basi neurologiche della creatività. Shofty sospettava che il pensiero creativo potesse dipendere fortemente da parti del cervello che si attivano anche durante la meditazione, i sogni a occhi aperti e altri tipi di pensiero focalizzato internamente. Questa rete di cellule cerebrali è la rete di modalità predefinita, DMN, così chiamata perché è associata ai modelli di pensiero “predefiniti” che si verificano in assenza di compiti mentali specifici. “A differenza della maggior parte delle funzioni cerebrali, non è orientata verso un obiettivo”, ha detto Shofty. “È una rete che funziona fondamentalmente tutto il tempo e mantiene il nostro flusso spontaneo di coscienza”, ha proseguito Shofty. La DMN è distribuita in molte regioni cerebrali disperse, il che rende più difficile tracciarne l’attività in tempo reale. I ricercatori hanno dovuto utilizzare un metodo avanzato di imaging dell’attività cerebrale per capire cosa stesse facendo la rete momento per momento durante il pensiero creativo. In una strategia comunemente utilizzata per individuare la localizzazione delle crisi epilettiche nei pazienti affetti da epilessia grave, vengono impiantati piccoli elettrodi nel cervello per tracciare con precisione l’attività elettrica di più regioni cerebrali. I partecipanti allo studio erano già sottoposti a questo tipo di monitoraggio delle crisi, il che significa che il gruppo di ricerca ha potuto utilizzare gli elettrodi anche per misurare l’attività cerebrale durante il pensiero creativo. In questo modo è stato possibile ottenere un quadro molto più dettagliato delle basi neurali della creatività rispetto a quanto i ricercatori erano riusciti a fare in precedenza. “Abbiamo potuto vedere cosa succede nei primi millisecondi in cui si tenta di realizzare un pensiero creativo”, ha evidenziato Shofty. I ricercatori hanno rilevato che durante un compito di pensiero creativo in cui si chiedeva ai partecipanti di elencare nuovi usi per un oggetto di uso quotidiano, come una sedia o una tazza, la DMN si è accesa per prima. Poi, la sua attività si è sincronizzata con altre regioni del cervello, comprese quelle coinvolte nella risoluzione di problemi complessi e nel processo decisionale. Shofty ritiene che questo significhi che le idee creative hanno origine nel DMN prima di essere valutate da altre regioni. Inoltre, i ricercatori sono riusciti a dimostrare che alcune parti della rete sono necessarie specificamente per il pensiero creativo. Quando gli scienziati hanno usato gli elettrodi per smorzare temporaneamente l’attività di particolari regioni della DMN, le persone hanno fatto un brainstorming per gli oggetti che vedevano meno creativi. Le altre funzioni cerebrali, come il mind wandering, sono rimaste perfettamente normali. Secondo Eleonora Bartoli, professoressa assistente di neurochirurgia presso il Baylor College of Medicine e coautrice del lavoro, questo risultato dimostra che la creatività non è solo associata alla rete, ma dipende fondamentalmente da essa. “Abbiamo superato le prove correlazionali utilizzando la stimolazione cerebrale diretta”, ha affermato l’autrice. “I nostri risultati evidenziano il ruolo causale della DMN nel pensiero creativo”, ha aggiunto Bartoli. L’attività della rete è alterata in diversi disturbi, come la depressione ruminativa, in cui la DMN è più attiva del normale, forse in relazione a un maggiore soffermarsi su pensieri negativi diretti all’interno. Shofty ritiene che una migliore comprensione del funzionamento normale della rete potrebbe portare a trattamenti migliori per le persone affette da tali patologie. Caratterizzando le regioni cerebrali coinvolte nel pensiero creativo, Shofty spera di ispirare interventi che possano aiutare a stimolare la creatività. “Alla fine, l’obiettivo sarebbe capire cosa succede alla rete in modo tale da poterla potenzialmente guidare verso una maggiore creatività”, ha concluso Shofty. (30Science.com)

Lucrezia Parpaglioni
Sono nata nel 1992. Sono laureata in Media Comunicazione digitale e Giornalismo presso l'Università Sapienza di Roma. Durante il mio percorso di studi ho svolto un'attività di tirocinio presso l'ufficio stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Qui ho potuto confrontarmi con il mondo della scienza fatto di prove, scoperte e ricercatori. E devo ammettere che la cosa mi è piaciuta. D'altronde era prevedibile che chi ha da sempre come idolo Margherita Hack e Sheldon Cooper come spirito guida si appassionasse a questa realtà. Da qui la mia voglia di scrivere di scienza, di fare divulgazione e perché no? Dimostrare che la scienza può essere anche divertente.