Roma – Si può interrompere la somministrazione di farmaci in base alla durata del trattamento oppure alla risposta? E se sì come e in quali periodi e per quanto tempo? Sono domande alle quali il dottor Marco Maruzzo, oncologo dell’Istituto Oncologico Veneto è in grado di rispondere. “L’interruzione dell’assunzione di farmaci – spiega – per una durata determinata e con modalità controllata e concordata con i pazienti, ovvero la cosiddetta ‘pausa terapeutica’, pur non essendo sempre sostenuta da dati scientifici di elevato impatto, è ritenuta in alcuni casi vantaggiosa ed è praticata sempre più spesso nelle neoplasie maligne. Può essere praticata per periodi prefissati brevi, così come per periodi più lunghi.”
Il confronto internazionale su questo tema è particolarmente avanzato e tra gli esperti, oltre a Maruzzo, ci sono la dottoressa Naoko Takebe dell’Health Stephenson Cancer Center e la ricercatrice Lova Sun dell’University of Pennsylvania che hanno anche fatto parte del gruppo sulla “drug holiday (“pausa terapeutica)” all’ASCO di Chicago con anche Stephane Champiat dell’Istituto Gustave Roussy di Parigi. Secondo quanto emerge dalla letteratura scientifica, spiega sempre il dottor Maruzzo, la necessità di prendere in considerazione una sospensione dei farmaci può essere chiesta dai pazienti per gli effetti avversi del trattamento o per questioni a volte personali: spostamenti, viaggi, fatica nel sostenere la cura, preoccupazione di dover proseguire “per sempre” con i farmaci, costi indiretti legati al trattamento.
“Finora non esiste una risposta standard e diretta a queste necessità e che possa andare bene per tutti. Nel caso dei tumori polmonari, ad esempio, i dati evidenziano come la durata prefissata del trattamento è di due anni, come una durata inferiore (1 anno) possa limitare i benefici clinici e come invece durate più lunghe non necessariamente aumentino gli outcome oncologici.” Quello che appare sempre più chiaro è che l’effetto delle cure non svanisce con interruzioni della somministrazione dei farmaci: l’effetto sul sistema immunitario può persistere, anche indefinitamente, ed è molto diverso dall’effetto prodotto sull’organismo dalla chemioterapia per la quale, invece, è necessaria un’esposizione continua per l’efficacia.
In particolare poi per le neoplasie genitourinarie – di cui maggiormente si occupa il dottor Maruzzo – i dati di ricerca indicano che la prosecuzione per tempi indefiniti dei trattamenti immunoterapici è lo standard di cura, ma pause terapeutiche possono essere concordate con i pazienti scendo alcune evidenze che si stanno confermando.
Secondo il dottor Maruzzo oggi è importante non solo considerare l’esperienza aneddotica, ma anche esaminare i dati pubblicati su questo argomento, anche se si tratta di dati ancora limitati. “E’ chiaro che la decisione va presa con il paziente perché è fortemente individuale. Anche questo è un aspetto della medicina personalizzata che va considerato. La pausa dai trattamenti potrebbe anche fornirci ulteriori dati per le terapie mirate e portarci a migliorare le cure, senza perdere di vista il bilancio rischi-benefici. Ancora non è noto per quanto tempo il paziente dovrebbe mantenere il trattamento per massimizzarne l’effetto e avere una migliore sopravvivenza globale per la malattia avanzata o metastatica per la maggior parte dei tumori, ma è evidente che vale fortemente l’invito al paziente di non decidere mai di propria iniziativa ma di confrontarsi sempre con il proprio medico oncologo. Per ora il tema riscuote molta attenzione; la ricerca progredisce, ma è certo che occorrono ancora molte verifiche prima di avere dati su vasta scala riguardo le drug holiday”.(30Science.com)