Roma – I pazienti che hanno sviluppato LONG-Covid possono mostrare segni di attivazione anomala delle cellule immunitarie in molti organi e tessuti, oltre a residui di RNA del SARS-CoV-2 nell’intestino, fino a due anni dopo aver contratto l’infezione. Lo rivela un nuovo studio riportato su Science Translational Medicine. Si parla di LONG-Covid quando i sintomi continuano a manifestarsi oltre quattro settimane dall’infezione, fino a 12 settimane. Tra le complicanze più comuni vi sono fame d’aria nota come dispnea, tosse persistente. dolore al petto e senso di oppressione, tachicardia e palpitazioni, aritmie, variazioni della pressione arteriosa, ma anche pericarditi e miocarditi. La ricerca ha coinvolto 24 individui sottoposti a imaging PET su tutto il corpo. L’analisi inizia a rispondere a domande di lunga data sul LONG-Covid per cui, a più di quattro anni dall’inizio della pandemia, non è ancora stato sviluppato alcun trattamento. Uno studio ha stimato che negli Stati Uniti potrebbero convivere con questo disturbo ben 18 milioni di persone. Nonostante la sua diffusione, non esistono veri e propri trattamenti e la natura del LONG-Covid rimane avvolta in un’aurea di mistero. Tuttavia, Michael Peluso, dell’University of California San Francisco, e colleghi hanno ipotizzato di poter interrogare le radici biologiche del LONG-Covid utilizzando la PET.
Gli scienziati hanno eseguito scansioni PET su tutto il corpo su una coorte ben caratterizzata di 24 pazienti che avevano contratto il COVID-19, da 27 a 910 giorni dopo l’infezione iniziale. Un tracciante di imaging ha rivelato che, rispetto ai controlli pre-pandemici, i pazienti guariti mostravano forti segni di cellule T attivate nel tronco cerebrale, nel midollo spinale, nei tessuti cardiaci e polmonari e in molti altri siti del corpo. Inoltre, questa attivazione delle cellule T era correlata ai sintomi del LONG-Covid; ad esempio, le persone che riferivano problemi polmonari persistenti mostravano segni più evidenti di attivazione immunitaria nei polmoni. I ricercatori hanno anche esaminato campioni di tessuto colorettale di 5 persone con sintomi dovuti al LONG-Covid e hanno osservato RNA residuo di SARS-CoV-2 nelle cellule intestinali, suggerendo che l’RNA virale può persistere nell’intestino per quasi due anni. “Nel complesso, queste osservazioni mettono in discussione il paradigma secondo cui il COVID-19 è un’infezione acuta transitoria, sulla base delle recenti osservazioni nel sangue”, hanno concluso gli autori. (30Science.com)