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LONG-Covid, RNA virale e cellule T attive resistono per anni

(4 Luglio 2024)

Roma – I pazienti che hanno sviluppato LONG-Covid possono mostrare segni di attivazione anomala delle cellule immunitarie in molti organi e tessuti, oltre a residui di RNA del SARS-CoV-2 nell’intestino, fino a due anni dopo aver contratto l’infezione. Lo rivela un nuovo studio riportato su Science Translational Medicine. Si parla di LONG-Covid quando i sintomi continuano a manifestarsi oltre quattro settimane dall’infezione, fino a 12 settimane. Tra le complicanze più comuni vi sono fame d’aria nota come dispnea, tosse persistente. dolore al petto e senso di oppressione, tachicardia e palpitazioni, aritmie, variazioni della pressione arteriosa, ma anche pericarditi e miocarditi. La ricerca ha coinvolto 24 individui sottoposti a imaging PET su tutto il corpo. L’analisi inizia a rispondere a domande di lunga data sul LONG-Covid per cui, a più di quattro anni dall’inizio della pandemia, non è ancora stato sviluppato alcun trattamento. Uno studio ha stimato che negli Stati Uniti potrebbero convivere con questo disturbo ben 18 milioni di persone. Nonostante la sua diffusione, non esistono veri e propri trattamenti e la natura del LONG-Covid rimane avvolta in un’aurea di mistero. Tuttavia, Michael Peluso, dell’University of California San Francisco, e colleghi hanno ipotizzato di poter interrogare le radici biologiche del LONG-Covid utilizzando la PET.

L’imaging immunitario mediante tracciante PET mostra un’aumentata attivazione delle cellule T in una varietà di tessuti in tutto il corpo in seguito all’infezione da COVID-19. Sono mostrate le proiezioni di massima intensità (MIP) dei dati PET di quattro partecipanti rappresentativi in vari momenti successivi all’infezione da SARS-CoV-2 rispetto ai controlli pre-pandemia. Le immagini assiali PET/CT sovrapposte dimostrano un aumento della captazione del tracciante in tessuti come i turbinati nasali, il parenchima polmonare e il midollo osseo lombare dopo l’infezione da COVID-19.
CREDITO
Laboratorio Henrich, Divisione di Medicina Sperimentale dell’UCSF

Gli scienziati hanno eseguito scansioni PET su tutto il corpo su una coorte ben caratterizzata di 24 pazienti che avevano contratto il COVID-19, da 27 a 910 giorni dopo l’infezione iniziale. Un tracciante di imaging ha rivelato che, rispetto ai controlli pre-pandemici, i pazienti guariti mostravano forti segni di cellule T attivate nel tronco cerebrale, nel midollo spinale, nei tessuti cardiaci e polmonari e in molti altri siti del corpo. Inoltre, questa attivazione delle cellule T era correlata ai sintomi del LONG-Covid; ad esempio, le persone che riferivano problemi polmonari persistenti mostravano segni più evidenti di attivazione immunitaria nei polmoni. I ricercatori hanno anche esaminato campioni di tessuto colorettale di 5 persone con sintomi dovuti al LONG-Covid e hanno osservato RNA residuo di SARS-CoV-2 nelle cellule intestinali, suggerendo che l’RNA virale può persistere nell’intestino per quasi due anni. “Nel complesso, queste osservazioni mettono in discussione il paradigma secondo cui il COVID-19 è un’infezione acuta transitoria, sulla base delle recenti osservazioni nel sangue”, hanno concluso gli autori. (30Science.com)

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