Roma – Mentre stavo accanto alla mia cara amica Laura, che sta lottando contro un male feroce da 17 anni, ella mi fa una domanda classica indicando un bel vaso di fiori posto di fronte a noi: “ Che fiori sono questi che sono così belli?”. “Sono dalie” gli rispondo. Girandomi per rispondergli osservo il suo sguardo rapito e attento come fosse in “dialogo” interiore con questi fiori. Dopo un paio d’ore condivido questo attimo con un’altra persona la quale subito mi racconta di una paziente in ospedale a cui venne regalata una semplice rosa. Questa persona ringrazio la persona che gli offrì questo fiore con un iconico scatto di cellulare accompagnato da frasi del tipo “Ecco il mio appiglio in questi giorni di degenza! Lo guardo per ore e sto meglio”. Non voglio citare la sterminata attenzione per la messa in posa di bouquet nei riti importanti della vita (matrimonio, laurea, funerale, nascite etc). Nei grandi passaggi della nostra vita i fiori sono accompagnatori e presenze. Lo sapevano bene anche molte persone che con arte non lasciano la quotidianità senza questo segno-simbolo naturale. Il conforto estetico è facilmente verificabile dalla maggior parte delle persone. E’ già ben noto che avere una buona relazione con il verde ( forestale , urbano , indoor) ha degli effetti positivi sulla salute e sullo stato emotivo. Qui non mi voglio soffermare sull’azione delle sostanze presenti nei fiori, di cui si occupano in vario modo la varie terapie “verdi”, e neppure sull’azione già verificata sul microbiota umano da parte di piante da interni, ma della particolare azione legata alla semplice presenza visiva ambientale in persone confinate o con ridotta capacità di movimento ( malati, degenti, carcerati, lavoratori confinati etc etc ). E’ quello che è riuscito a verificare il gruppo di lavoro giapponese di Yoshifumi Miyazaki del Center for Environment, Health and Field Sciences dellal Chiba University nell’articolo non recente “The physiological and psychological relaxing effects of viewing rose flowers in office workers”. Su un campione di 31 persone è stato verificato l’effetto fisiologico di riduzione significativa su sintomi generici legati al benessere quali rabbia-ostilità; confusione; depressione-disprezzo; affaticamento; tensione-ansia. Un semplice vaso di rose come nel caso raccontato in precedenza fa relativamente tanto ed è un esperimento ripetibile. Da parte solo di scienziati ma da chiunque. Questo apre a nuovi cammini che si riassumono nella dizione “Nature Therapy” come dice questo documento pubblicato dalle Nazioni Unite. I risultati sono simili a quelli ottenuti da altri percorsi che coinvolgono nella relazione ( pensiamo alle varie forme di arteterapia) dove il contenuto simbolico e semiotico interagiscono con i nostri meccanismi di coinvolgimento emotivo inducendo ad un “benessere” misurabile. Qui gli insegnamenti junghiani sugli archetipi e sui simboli universali sono sicuramente da riprendere e integrare in un contesto di ricerca integrato e multidisciplinare con gli adeguati strumenti con cui si misurano i parametri fisiologici della salute. Una visione integrata è sicuramente un approccio migliore di quello specialistico e settoriale per creare ambienti più umani e meno impersonali dove chi già sta male può solo stare peggio. Quindi benvenute care “Acque di San Giovanni” nei canali social e nelle case soprattutto!!
Alfonso Crisci