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Veicoli a idrogeno, incidenti nei tunnel improbabili ma disastrosi

(29 Maggio 2024)

Roma – Un team della University of Technology di Graz (TU Graz), Austria, ha analizzato il rischio e il potenziale di danno dei veicoli a idrogeno (H2) nei tunnel. La loro conclusione? Eventuali danni sarebbero ingenti, ma il verificarsi di questi incidenti è improbabile. Non esistono praticamente dati empirici sugli incidenti reali che coinvolgono veicoli alimentati a idrogeno nei tunnel a causa della loro bassa quota di traffico fino ad oggi. Pertanto è stato possibile effettuare solo una stima approssimativa della probabilità che si verifichi sulla base dell’esperienza con veicoli a gas, che indica una probabilità bassa. In confronto, l’entità potenziale del danno è stata analizzata in modo molto dettagliato sulla base degli esperimenti del progetto UE HyTunnel-CS, che si è concluso nel 2022. A causa dell’elevata densità energetica dell’idrogeno e dell’elevata pressione alla quale è immagazzinato, i veicoli a idrogeno (FCEV) hanno un potenziale di danno molto elevato. Secondo lo standard attuale, l’idrogeno viene immagazzinato nelle automobili ad una pressione di 700 bar e nei camion e negli autobus a 350 bar. Se si verifica un danno a un serbatoio, viene rapidamente rilasciata una grande quantità di energia; se l’idrogeno prende fuoco, brucia a temperature superiori a 2000 gradi Celsius. Sebbene i serbatoi siano molto robusti e ben protetti dagli urti meccanici, non possono resistere a un tamponamento con un camion. Questo scenario dovrebbe quindi essere evitato per quanto possibile. L’esito più probabile di un incidente che coinvolge un FCEV è che non vi sarà alcun impatto significativo da parte dell’idrogeno. In caso di incidenti gravi possono tuttavia verificarsi tre diversi scenari di pericolo. Nel primo caso, il dispositivo di limitazione della pressione termica (TPRD) interviene quando la pressione aumenta a seguito di un impatto termico (ad esempio l’incendio di un veicolo), liberando l’idrogeno dal serbatoio in un getto controllato. Ciò mantiene la pressione a un certo livello e impedisce la rottura del serbatoio. Se l’idrogeno scaricato si accende – cosa che può accadere facilmente se miscelato con aria -, la fiamma è diretta verso il suolo. Resta comunque pericoloso perché l’idrogeno brucia senza colore né odore, ma la zona di pericolo è limitata. Se il TPRD fallisce, il serbatoio può esplodere, creando un’onda d’urto che si diffonde attraverso l’intero tunnel. Fino a ca. 30 metri pericolo di morte, fino a ca. 300 metri c’è il rischio di gravi lesioni interne come emorragie ai polmoni, e più lontano c’è ancora il rischio di rottura dei timpani. Il terzo scenario è il meno probabile. Si verifica quando l’idrogeno viene rilasciato senza accendersi. Essendo l’elemento più leggero nella tavola periodica, l’idrogeno sale e si raccoglie in una nuvola sotto il soffitto del tunnel. Se lì è presente una fonte di accensione (ad esempio lampade calde o un impulso elettrico che avvia un ventilatore), segue un’esplosione di nube di idrogeno che provoca anche un’onda d’urto. (30science.com)

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