Lucrezia Parpaglioni

In più del 30% dei casi la spina viene staccata troppo presto

(15 Maggio 2024)

Roma – Oltre il 30% dei pazienti con lesioni cerebrali traumatiche, o TBI, per i quali non è stata eseguita la sospensione del trattamento di sostegno vitale, o WLST, ha mostrato un recupero almeno parziale della propria indipendenza. A rivelarlo un nuovo studio internazionale, pubblicato su Journal of Neurotrauma. Le gravi TBI sono una delle principali cause di ricovero e di morte in tutto il mondo e colpiscono più di cinque milioni di persone ogni anno. Prevedere gli esiti di una lesione cerebrale può essere difficile, eppure le famiglie sono chiamate a decidere se continuare o interrompere i trattamenti di mantenimento in vita entro pochi giorni dalla lesione. Yelena Bodien, del Centro di Neurologia e Neurorecupero del Massachusetts General Hospital e dello Spaulding-Harvard Traumatic Brain Injury Model Systems, assieme ad una squadra di ricercatori, ha rilevato che la morte o la grave disabilità sono un esito comune quando la probabilità di WLST è alta. Gli autori hanno analizzato il potenziale di sopravvivenza e di recupero dell’indipendenza dopo una TBI acuta nei pazienti morti dopo la WLST. La squadra di ricerca ha confrontato i pazienti con TBI acuta che sono morti dopo la WLST con quelli con TBI acuta per i quali la WLST è stata interrotta. In particolare, gli scienziati hanno analizzato i potenziali esiti clinici dei pazienti con TBI arruolati nello studio Transforming Research and Clinical Knowledge in TBI, noto come TRACK-TBI, per i quali è stato ritirato il supporto vitale. Di solito alle famiglie viene spesso chiesto di prendere la decisione di ritirare le misure di supporto vitale, come la respirazione meccanica, entro 72 ore da una lesione cerebrale. Le informazioni trasmesse dai medici, che suggeriscono una prognosi neurologica sfavorevole, sono la ragione più comune per cui le famiglie optano per l’interruzione delle misure di supporto vitale. Tuttavia, attualmente non esistono linee guida mediche o algoritmi precisi che determinino quali pazienti con TBI grave abbiano probabilità di recupero. Utilizzando i dati raccolti in un periodo di 7,5 anni su 1.392 pazienti con TBI ricoverati nelle unità di terapia intensiva di 18 centri traumatologici statunitensi, i ricercatori hanno creato un modello matematico per calcolare la probabilità di sospensione del trattamento di mantenimento in vita, in base a caratteristiche come i dati demografici, i fattori socioeconomici e le caratteristiche della lesione. Quindi, hanno accoppiato individui per i quali il trattamento di mantenimento in vita non è stato ritirato o WLST-, con individui con punteggi simili al modello, ma per i quali il trattamento di mantenimento in vita è stato ritirato, o WLST+. Sulla base del follow-up delle loro controparti accoppiate a WLST-, gli esiti stimati a sei mesi per un numero di soggetti cospicuo del gruppo WLST+ sono stati il decesso o il recupero di almeno una certa indipendenza nelle attività quotidiane. Tra i sopravvissuti, oltre il 40% del gruppo WLST- ha raggiunto almeno un certo livello di indipendenza. Inoltre, il gruppo di ricerca ha riscontrato che, rimanere in stato vegetativo era un esito improbabile a sei mesi dalla lesione. È importante notare che nessuno dei pazienti deceduti in questo studio è stato dichiarato cerebralmente morto e quindi i risultati non sono applicabili alla morte cerebrale. “I nostri risultati supportano i recenti inviti alla cautela nei confronti di un approccio precoce alla WLST dopo una TBI acuta e suggeriscono che una vita in stato vegetativo o con una disabilità meno grave non è un esito comune, anche dopo una lesione molto grave”, hanno dichiarato i ricercatori. “La lesione cerebrale traumatica è una condizione cronica che richiede controlli a lungo termine per comprenderne gli effetti sui pazienti”, ha aggiunto Bodien. “Ritardare le decisioni relative al supporto vitale può essere consigliato per identificare meglio i pazienti le cui condizioni possono migliorare”, ha eidenziato Bodien. Gli autori suggeriscono che per comprendere le traiettorie di recupero variabili dei pazienti che hanno subito lesioni cerebrali traumatiche sono necessari ulteriori studi con campioni più ampi che consentano un abbinamento più preciso tra le coorti WLST+ e WLST-. “Mi congratulo con Bodien e i suoi colleghi per questa comunicazione accuratamente articolata: i loro risultati hanno importanti implicazioni per la pratica della medicina critica in tutto il mondo”, ha dichiarato David L. Brody, caporedattore del Journal of Neurotrauma. “Tutti coloro che sono coinvolti nella cura di pazienti con lesioni cerebrali traumatiche acute ‘gravi’ dovrebbero leggere attentamente questo articolo”, ha aggiunto Brody. (30Science.com)

Lucrezia Parpaglioni
Sono nata nel 1992. Sono laureata in Media Comunicazione digitale e Giornalismo presso l'Università Sapienza di Roma. Durante il mio percorso di studi ho svolto un'attività di tirocinio presso l'ufficio stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Qui ho potuto confrontarmi con il mondo della scienza fatto di prove, scoperte e ricercatori. E devo ammettere che la cosa mi è piaciuta. D'altronde era prevedibile che chi ha da sempre come idolo Margherita Hack e Sheldon Cooper come spirito guida si appassionasse a questa realtà. Da qui la mia voglia di scrivere di scienza, di fare divulgazione e perché no? Dimostrare che la scienza può essere anche divertente.