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Tumori: allo studio 2 biomarcatori che prevedono melanoma ad alto rischio

(4 Aprile 2024)

Roma – Si chiamano Ambra1 e Loricrina e sono i due biomarcatori su cui si concentra uno studio finanziato da Fondazione Humanitas per la Ricerca, che potrebbero risultare predettivi di elevato rischio in specifici sottogruppi. I risultati potrebbero confermarne l’efficacia predittiva per forme di melanoma ad alto rischio in pazienti con malattia iniziale. Se ne è discusso in occasione di un webinar organizzato da Fondazione Humanitas per la Ricerca ed Acqua dell’Elba. L’evento è stata l’occasione anche per sensibilizzare sui buoni comportamenti di attenzione alla pelle, specificatamente dall’attacco dei raggi ultravioletti, attivi non solo sotto il sole, ma tutto l’anno. “La prognosi e la sopravvivenza del melanoma maligno – spiega Renato Parente, responsabile di Anatomia Patologica dell’ospedale Humanitas Gradenigo di Torino – dipendono fortemente dalla diagnosi precoce e dal trattamento. Attualmente per i melanomi in stadio iniziale (Stadio 1), i criteri prognostici e predittivi proposti dall’American Joint Committee on Cancer (AJCC), basati sulla caratterizzazione istologica del tumore attraverso l’individuazione del suo spessore e del grado di ulcerazione, non forniscono un’analisi completa, non consentono cioè di valutare pienamente il rischio di progressione della malattia che si verifica fino al 15% di melanomi ad apparente bassa malignità. Grazie ai finanziamenti di Fondazione Humanitas per la Ricerca, abbiamo avviato uno studio che potrebbe confermare l’affidabilità di due biomarcatori, chiamati Ambra1 e Loricrina, che consentirebbe di sottocategorizzare il melanoma ad alto rischio in pazienti con malattia a uno stadio iniziale». La diagnosi precoce è di fondamentale importanza, sia in fase di diagnosi sia per la scelta dei trattamenti terapeutici più indicati: per i pazienti potrebbe significare ricevere follow-up più adeguati e terapie più personalizzate, anche in fase cautelativa. «Ci auguriamo che i risultati che otterremo dall’analisi dei due biomarcatori Ambra1 e Loricrina svolta su 140 campioni di pazienti – prosegue Parente – possano rappresentare una svolta per una più precisa stadiazione del melanoma e nell’individuazione precoce di soggetti più a rischio, al fine di migliorare non solo l’esito clinico del tumore ma anche di prevenire la progressione della malattia”. In attesa dei risultati della scienza è fondamentale adottare delle “best pratice” nell’uso dei solari: “Specialmente con l’arrivo della bella stagione, ma anche durante tutto l’anno – raccomanda Michele Tiano, dermatologo presso Humanitas – la protezione solare non deve mai mancare, in borsa, zaino o valigia. Una buona protezione dai raggi solari aiuta, infatti, a rallentare i meccanismi di invecchiamento della pelle e a prevenire tumori cutanei, alcuni anche molto aggressivi, come il melanoma. Le creme solari si distinguono innanzitutto per i filtri contenuti: filtri chimici o fisici. I primi ‘assorbono’ le radiazioni UV convertendole in calore, mentre i filtri fisici agiscono come una barriera, riflettendo le radiazioni ultraviolette. Il fattore di protezione solare (SPF) difende dai raggi UVB ed ha un’indicazione numerica da 6 a 50+, a seconda della capacità di proteggere dai raggi ultravioletti. È raccomandato un fattore di protezione non inferiore a 30. La protezione 50+ è indicata invece per prevenire le forme tumorali in persone con pelle chiara o che svolgono attività invernali ad elevate altitudini”. E in termine di quantità? È fondamentale applicare una adeguata quantità di crema, circa 2 milligrammi per centimetro quadrato di pelle, 45 minuti prima dell’esposizione al sole e poi riapplicarla ogni due ore: sudorazione, bagni e attività sportiva possono ridurre l’efficacia della protezione. Non ultimo è bene evitare l’uso di creme solari aperti da più di 12 mesi o scaduti, poiché la loro efficacia diminuisce nel tempo.(30Science.com)

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