Roma – I pazienti che non riescono a tenere a bada la pressione alta, seguendo con costanza le terapie prescritte, in futuro potrebbero non avere più alibi grazie a trattamenti di lunga durata che potrebbero combattere il problema dell’aderenza alle cure antipertensive. Una sfida sanitaria molto seria e importante se si considera che dopo circa un anno, fino il 50% dei pazienti abbandona la terapia antipertensiva e così cala anche la possibilità di proteggere cuore e cervello da infarto e ictus. Una prospettiva di miglioramento arriva oggi da un nuovo farmaco, Zilebesiran, attualmente in sperimentazione, al centro dello studio KARDIA-2 presentato al congresso dell’American College of Cardiology in corso ad Atlanta. “I risultati della ricerca sono molto incoraggianti: la nuova molecola interferisce conl’RNA-messaggero bloccando nel fegato la produzione di angiotensinogeno, una proteina che è in cima alla catena dei processi organici che alla fine provocano il rialzo dei valori pressori. Riducendo la disponibilità di questa proteina nel sangue si abbassa anche la pressione – spiega Pasquale Perrone Filardi, Presidente Società Italiana di Cardiologia e Direttore della scuola di specializzazione in malattie dell’apparato cardiovascolare dell’UniversitàFederico II di Napoli –. L’innovativa terapia si somministra con una semplice iniezione sottocutanea simile a quella che si fa con l’insulina e la sua azione dura a lungo perché è sufficiente ripeterla a distanza di 3 o addirittura 6 mesi. Con questa modalità di somministrazione, i pazienti che non riescono a seguire la terapia prescritta dal medico, non avrebbero più alibi e il trattamento sarebbe in grado di ridurre in modo significativo i valori di pressione massima senza bisogno di altre cure”.
Lo studio KARDIA-2, in doppio cieco e controllato con placebo, presentato al congresso dell’American College of Cardiology da Akshay S. Desai, professore associato dell’Harvard Medical School, ha valutato l’efficacia e la sicurezza di Zilebesiran in 672 pazienti, in aggiunta alle pillole giornaliere. “I pazienti arruolati, al momento della prima somministrazione avevano valori pressori, in media, di 143 mm Hg e hanno presentato una riduzione media fino a 18 mm Hg della pressione sistolica che, in molti casi, si è mantenuta stabile fino a 6 mesi. Questi risultati aprono la strada alla rivoluzione dei farmaci biologici anche nel mondo dell’ipertensione che ne aveva più bisogno vista l’insufficiente aderenza all’assunzione di farmaci per tutta la vita”, conclude Perrone Filardi.(30Science.com)