Roma – Dal 2013, con una cifra relativamente bassa, chiunque ha la possibilità di leggere il proprio DNA, con la promessa di riuscire ad identificare geni di suscettibilità alle più svariate malattie dell’uomo.
Un conto, però, è acquistare un ‘prodotto’ potenzialmente molto rivelatore, un altro è riuscire a dare la giusta interpretazione ai risultati ottenuti.
Quanti geni-malattia ci sono in un genoma umano? Tutte le varianti genetiche che troviamo hanno un significato clinico? Quali di queste andrebbero effettivamente comunicate al soggetto che ha chiesto l’analisi del DNA?
Sono le domande principali che si pone – o si dovrebbe porre – chiunque si sottoponga all’analisi del DNA. La risposta, come è intuibile, è tutt’altro che semplice: leggendo il DNA di una persona ritroviamo milioni di varianti comuni e almeno 25.000-50.000 rare; di queste almeno 70-80 sono nuove mutazioni, cioè non sono ereditate dai genitori (de novo). Inoltre, possiamo trovare centinaia di segmenti di DNA persi o duplicati, di significato spesso sconosciuto.
Per questa ragione, la Società Americana di Genetica e Genomica (ACMG) ha elaborato delle linee guida segnalando una settantina di geni da guardare con maggiore attenzione (geni azionabili) cioè geni che hanno un interesse clinico e sono suscettibili di possibili azioni terapeutiche. Questi geni si trovano in circa il 3% delle persone analizzate.
Un recente studio islandese, appena pubblicato, e basato sull’analisi di circa 60.000 genomi individuali ha permesso di identificare geni “azionabili” nel 4% delle persone analizzate.
Un aspetto interessante di questo nuovo studio è la correlazione con la durata media della vita dei portatori di questi geni rispetto ai non portatori. In media, hanno osservato che i portatori di geni “azionabili” associati al cancro avevano una sopravvivenza inferiore ai non-portatori, di circa tre anni.
I ricercatori non hanno potuto dimostrare un collegamento fra una riduzione della durata media di vita e i geni azionabili associati a malattie cardiovascolari, con l’eccezione dei geni LDLR e MYBPC3, che producono il recettore del colesterolo e una proteina coinvolta nelle cardiomiopatie gravi, che similmente ai geni azionabili del cancro, causano riduzione della durata media di vita.
Questo studio, sebbene importante, dovrà essere confermato su altre popolazioni (l’Islanda è una popolazione geneticamente omogenea) e validato opportunamente attraverso l’integrazione di dati familiari e comportamentali delle persone analizzate (stile di vita, farmaci utilizzati) prima di poter utilizzare queste informazioni per screening di popolazione. Tuttavia, la sua valenza risiede nel fatto che sottolinea fortemente la necessità di evitare analisi del DNA tipo “fai-da-te”, e soprattutto mette in evidenza l’importanza di consultare il genetista per l’interpretazione dei risultati del test.
Una lettura superficiale ed effettuata da soggetti senza specifica competenza in materia si ferma ad un livello che possiamo definire “genoscopo”: né più né meno che un oroscopo dei geni che dice tutto e niente, a seconda dell’interpretazione, e che può contribuire a creare dannosa misinformazione.(30Science.com)