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CMCC, utilizzare incentivi pubblici per finanziare tecnologie ‘CO2 negative’ aumenta le disuguaglianze

(30 Novembre 2023)

Roma – L’utilizzo di incentivi pubblici per finanziare tecnologie a emissioni negative di proprietà privata integrandole in un unico mercato del carbonio aumenta le disuguaglianze economiche legate alle politiche climatiche, che potrebbero raddoppiare in uno scenario di riscaldamento di 1,5 °C a fine secolo. Una nuova ricerca del CMCC pubblicata su Nature Climate Change propone alternative per contenere tali effetti e garantire allo stesso tempo una decarbonizzazione a costi ragionevoli.

Le tecnologie a emissioni negative (NETs, dall’inglese negative emission technologies) consentono di catturare la CO2 dall’atmosfera e rappresentano, secondo il sesto rapporto dell’IPCC, un’opzione fondamentale per raggiungere la neutralità carbonica.

In scenari in linea con quanto stabilito dall’accordo di Parigi, l’industria della rimozione del carbonio potrebbe catturare più di un miliardo di tonnellate di CO2 all’anno e raggiungere un valore di mille miliardi di dollari nella seconda metà del secolo. Per finanziare tali tecnologie a una scala così ampia saranno necessari ampi incentivi pubblici, ad esempio attraverso l’integrazione delle emissioni negative in un mercato del carbonio, insieme ad altre strategie di riduzione delle emissioni come le energie rinnovabili.

Nell’articolo “Inequality repercussions of financing negative emissions”, pubblicato su Nature Climate Change, i ricercatori del CMCC e del Politecnico di Milano Pietro Andreoni, Johannes Emmerling e Massimo Tavoni dimostrano che incentivi di questo tipo potrebbero causare un aumento della disuguaglianza di reddito nel lungo periodo: il settore pubblico sosterrebbe infatti i costi per finanziare la rimozione delle emissioni di carbonio ma, se le tecnologie sono di proprietà privata – come gli sviluppi attuali lasciano presagire, i profitti andrebbero  a beneficio di pochi.

In particolare, in uno scenario di riscaldamento a fine secolo di 1,5°C, questi effetti – che sono più elevati in corrispondenza del raggiungimento della neutralità carbonica  e in scenari che prevedono l’overshoot del budget di carbonio – potrebbero raddoppiare l’aumento della disuguaglianza di reddito legata alle politiche climatiche.

“Le emissioni negative giocheranno con ogni probabilità un ruolo chiave nell’evitare un eccessivo riscaldamento globale nei prossimi decenni. Soprattutto le opzioni tecnologiche potrebbero fornire un importante modello di business, come si può già osservare guardando allo sviluppo delle attuali start-up nel campo del Direct Air Capture. La proprietà delle aziende che beneficiano di questi potenziali profitti inattesi potrebbe tuttavia avere ripercussioni sulla distribuzione della ricchezza, pertanto sono fondamentali l’applicazione di tariffe differenziate al carbonio e altre questioni di progettazione politica”, afferma Johannes Emmerling, Senior Scientist al CMCC.

Integrare in un unico mercato  (come l’emission trading system in vigore nell’Unione Europea) le strategie di riduzione delle emissioni e quelle di rimozione del carbonio è un’opzione attraente perché consente, in linea teorica, di decarbonizzare l’economia al minimo costo per la società, spiegano gli autori. La portata dell’aumento delle disuguaglianze dovuto a questa struttura di mercato applicata alle NETs, tuttavia, indica la necessità di esplorare opzioni politiche alternative o una regolamentazione del mercato per mitigare l’aumento della disuguaglianza, garantendo comunque una decarbonizzazione a costi ragionevoli.

Per ciascun Paese, gli autori identificano tre fattori determinanti l’aumento della disuguaglianza: (a) il margine di profitto delle aziende che sviluppano tecnologie a emissioni negative (b) la concentrazione della proprietà di tali aziende verso la parte alta della distribuzione del reddito (c) la quantità di emissioni negative nel mercato. Questo permette di riscontrare che quelle particolarmente suscettibili al rischio di disuguaglianza sono le piccole economie con un elevato potenziale di rimozione del carbonio, un’elevata concentrazione del capitale e opzioni di mitigazione costose. Gli autori hanno inoltre analizzato come la distribuzione geografica del potenziale di tecnologie a emissioni negative influenzi la disuguaglianza globale, scoprendo che concentrare gli sforzi di rimozione nel nord globale o trasferire risorse finanziarie al sud globale può in qualche misura compensare l’aumento della disuguaglianza.

Per questo studio, i ricercatori hanno combinato una ricostruzione dettagliata della distribuzione del reddito in un modello altamente regionalizzato che consente l’analisi delle interazioni tra economia e cambiamento climatico (RICE50+, appartenente alla famiglia dei cosiddetti Integrated Assessment Models – IAMs), includendo una tecnologia rappresentativa di rimozione della CO2 (Direct Air Capture) con un potenziale internazionale eterogeneo di rimozione e stoccaggio del carbonio e includendo gli effetti dello sviluppo tecnologico nella riduzione dei costi di queste tecnologie. .

“In questo lavoro, proponiamo una struttura concettuale e quantifichiamo come il finanziamento delle emissioni negative possa causare conseguenze distributive dannose nel lungo periodo, generando una tensione tra efficienza ed equità nella transizione climatica. Questa dinamica dipende dalla tecnologia, dalla società, ma anche dagli strumenti politici scelti per favorire la transizione”, afferma Pietro Andreoni, dottorando in Ingegneria gestionale presso il Politecnico di Milano e primo autore dello studio.

In generale, questo lavoro conferma l’importanza, quando si progettano politiche per facilitare la transizione climatica, di prestare attenzione ai loro effetti su altri obiettivi sociali come il controllo delle disuguaglianze.

“Lo studio evidenzia l’importanza di un’adeguata pianificazione delle politiche per il finanziamento della rimozione di CO2 su larga scala. La necessità di porre rimedio all’eccesso di carbonio rilasciato nell’atmosfera è imperativa, ma lo sono anche l’equità e l’opportunità. Questo studio dimostra che le politiche esistenti, come i mercati di riduzione delle emissioni, non sono adatte a gestire nuove strategie climatiche come le emissioni negative. Politiche e mercati alternativi sono possibili e dovrebbero essere studiati più a fondo”, conclude Massimo Tavoni, direttore dello European Institute for Economics and the Environment del CMCC e professore di economia dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano.(30Science.com)

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