Roma – Il piccione passeggero. La tigre della Tasmania. Il Baiji o delfino del fiume Yangtze. Queste sono tra le vittime più note di quella che molti scienziati hanno dichiarato la sesta estinzione di massa, in quanto l’azione dell’uomo sta cancellando le specie animali vertebrate centinaia di volte più velocemente di quanto scomparirebbero altrimenti. Tuttavia, una recente analisi dell’Università di Stanford e dell’Università Nazionale Autonoma del Messico, pubblicata questa settimana su Proceedings of the National Academy of Sciences, mostra che la crisi potrebbe essere ancora più profonda. Ognuna delle tre specie sopra citate era anche l’ultimo membro del suo genere, la categoria superiore in cui i tassonomisti suddividono le specie. E non sono le sole. Finora l’interesse pubblico e scientifico si è concentrato sulle estinzioni di specie. Ma nel loro nuovo studio, Gerardo Ceballos, ricercatore senior presso l’Istituto di Ecologia dell’Università Nazionale Autonoma del Messico, e Paul Ehrlich, professore emerito di studi sulla popolazione presso la Stanford School of Humanities and Sciences, hanno scoperto che anche interi generi di animali stanno scomparendo, in quella che definiscono una mutilazione dell’albero della vita. “A lungo termine, stiamo compromettendo l’evoluzione della vita sul pianeta”, ha detto Ceballos. “Ma anche in questo secolo, ciò che stiamo facendo all’albero della vita causerà molta sofferenza all’umanità”, ha continuato Ceballos. “Quello che stiamo perdendo sono i nostri unici compagni di vita conosciuti nell’intero universo”, ha dichiarato Ehrlich. Le informazioni sullo stato di conservazione delle specie fornite dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, da Birdlife International e da altri database sono migliorate negli ultimi anni, consentendo a Ceballos ed Ehrlich di valutare l’estinzione a livello di genere. Attingendo a queste fonti, i ricercatori hanno esaminato 5.400 generi di animali vertebrati terrestri, che comprendono 34.600 specie e hanno scoperto che settantatré generi di vertebrati terrestri si sono estinti dal 1500 d.C.. Gli uccelli hanno subito le perdite più pesanti con 44 estinzioni di generi, seguiti nell’ordine da mammiferi, anfibi e rettili. Sulla base del tasso storico di estinzione dei generi tra i mammiferi, stimato per gli autori da Anthony Barnosky, professore emerito di biologia integrativa alla UC Berkeley, l’attuale tasso di estinzione dei generi di vertebrati supera di 35 volte quello dell’ultimo milione di anni. Ciò significa che, senza l’influenza umana, la Terra avrebbe probabilmente perso solo due generi in quel periodo. In cinque secoli, l’azione dell’uomo ha innescato un’ondata di estinzioni di generi che altrimenti avrebbero richiesto 18.000 anni per accumularsi, quello che il documento definisce un annientamento biologico. “Come scienziati, dobbiamo stare attenti a non essere allarmisti”, ha riconosciuto Ceballos. “La gravità dei risultati in questo caso ha richiesto, però, un linguaggio più incisivo del solito”, ha spiegato Ceballos. “Non sarebbe etico non spiegare l’entità del problema, visto che noi e altri scienziati siamo allarmati”, ha precisato Ceballos. A molti livelli, le estinzioni di genere colpiscono più duramente di quelle di specie. “Quando una specie si estingue – ha chiarito Ceballos – spesso altre specie del suo genere possono ricoprire almeno in parte il suo ruolo nell’ecosistema”. “E poiché queste specie portano con sé gran parte del materiale genetico del cugino estinto, conservano anche gran parte del suo potenziale evolutivo”, ha proseguito Ceballos. “Se un singolo ramoscello, ovvero una specie, si stacca, i ramoscelli vicini possono ramificarsi in tempi relativamente brevi, colmando il vuoto proprio come avrebbe fatto il ramoscello originale e in questo caso, la diversità delle specie sul pianeta rimane più o meno stabile”, ha aggiunto Ceballos. “Ma – ha precisato Ceballos – quando interi rami, quindi generi, cadono, si crea un enorme buco nella chioma, una perdita di biodiversità che può richiedere decine di milioni di anni per ricrescere attraverso il processo evolutivo della speciazione”, ha sottolineato Ceballos. “L’umanità non può aspettare così a lungo per recuperare i suoi sistemi di supporto vitale, dato che la stabilità della nostra civiltà dipende dai servizi che la biodiversità della Terra fornisce”, ha sottolineato Ceballos. Un’estinzione di massa di generi potrebbe significare un’esplosione proporzionale di disastri per l’umanità. Ceballos ed Ehrlich, hanno preso ad esempio il caso della rana gastrica, anch’essa ultimo membro di un genere estinto. Le femmine inghiottivano le proprie uova fecondate e allevavano i girini nello stomaco, spegnendo gli acidi gastrici. Queste rane avrebbero potuto fornire un modello per lo studio di malattie umane come il reflusso acido, che può aumentare il rischio di cancro esofageo, ma ora sono scomparse. La perdita di generi potrebbe anche esacerbare l’aggravarsi della crisi climatica. “L’alterazione del clima sta accelerando l’estinzione e questa sta interagendo con il clima, perché la natura delle piante, degli animali e dei microbi sul pianeta è uno dei principali fattori che determinano il tipo di clima che abbiamo”, ha sottolineato Ehrlich. “Le dimensioni e la crescita della popolazione umana, l’aumento del consumo e il fatto che il consumo sia molto iniquo sono tutti elementi importanti del problema”, hanno affermato gli autori. “L’idea che si possa continuare a fare queste cose e salvare la biodiversità è folle”, ha aggiunto Ehrlich. “È come sedersi su un arto e segarlo allo stesso tempo”, ha concluso Ehrlich. (30Science.com)
Lucrezia Parpaglioni
Estinzione, stiamo perdendo interi rami dell’albero della vita
(18 Settembre 2023)
Lucrezia Parpaglioni
Sono nata nel 1992. Sono laureata in Media Comunicazione digitale e Giornalismo presso l'Università Sapienza di Roma. Durante il mio percorso di studi ho svolto un'attività di tirocinio presso l'ufficio stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Qui ho potuto confrontarmi con il mondo della scienza fatto di prove, scoperte e ricercatori. E devo ammettere che la cosa mi è piaciuta. D'altronde era prevedibile che chi ha da sempre come idolo Margherita Hack e Sheldon Cooper come spirito guida si appassionasse a questa realtà. Da qui la mia voglia di scrivere di scienza, di fare divulgazione e perché no? Dimostrare che la scienza può essere anche divertente.